Ventisei volte Higuain. I gol e la determinazione di dimostrare solo sul campo di essere il migliore

La legge del Pipita torna al San Paolo. Un dazio da pagare, obbligatorio, per tutte le squadre di Serie A a cui l’attaccante argentino, in tre anni, ha fatto almeno un gol. Dal Chievo al Chievo: Higuain torna alla rete, la seconda consecutiva dopo quella alla Fiorentina, dopo l’astinenza con Juventus, Villarreal e Milan. Flessione? Rabbia? Delusione? Nemmeno per sogno. Gonzalo Higuain c’è e lo fa capire a tutti. Anche di sabato sera ride sempre e soltanto lui. Ventisei perle in campionato, un sogno che si chiama scudetto nel mirino, la Scarpa d’Oro un piacevole contorno e la consapevolezza di star vivendo la stagione migliore della sua carriera.

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Col Chievo i sigilli sono ventisei e peccato per una traversa che trema ancora e un dito di Bizzarri, altrimenti si starebbe parlando di ventisette perle, esattamente come nella stagione 2009/2010, quando con la maglia del Real Madrid raggiunse una cifra di tutto rispetto, ancora oggi la migliore della sua carriera. Ma quello con la camiseta blanca era un altro Pipita. Quello di Napoli, quello napoletano, è tutt’altra storia. Uomo squadra, faro, perno del gioco. In casa sua si ragiona in base alle sue regole, gli avversari semmai si adattano, lo inseguono, provano a fermarlo e solo la casualità ci riesce: non è classificabile più tra gli umani, si è ampiamente superato e risponde, sul campo, con prontezza, perché in Europa e forse nel mondo un attaccante centrale come lui non esiste. In Italia sicuro: incisivo fin oltre il dovuto, con sessantuno reti totali in tre anni che eleggono il Pipita asso del Napoli, se ancora ci fossero dubbi. 

E, alla fine, non esulta, come suo solito, sotto la curva. Perché quelli come lui hanno sempre fame, non si fermano mai. Non c’entrano le parole, non c’è tensione nell’ambiente, la delusione casomai è per i gol mancati: Higuain è al centro del Napoli, al centro di Napoli, probabilmente il degno secondo di Maradona che resta insindacabilmente l’assoluto sovrano del popolo partenopeo. Un argentino, come lui, capace di mandare in estasi un’intera popolazione. Un argentino, capace di incidere fortemente sulle giornate, sugli umori della gente che va allo stadio per ammirarlo. Un argentino, ancora una volta nella storia del Napoli e di Napoli, per realizzare un sogno. La sua rabbia si giustifica in una sola maniera: inutile parlare, le risposte le dà il campo, unico giudice sovrano. Testa bassa e via negli spogliatoi. Perché ci sono leader che si prendono le luci della ribalta ed altri, come lui, che agiscono in silenzio e preferiscono costruire i successi nell’unico modo che conoscono. Nel suo caso segnando e soggiogando gli avversari. 

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