La fiera dell’ipocrisia: chi di voi avrebbe rinunciato a 44mila euro al giorno?

“Cosa vuoi fare da grande?”
“Il calciatore”. Quante volte abbiamo ascoltato questa risposta ed ancora quanti adolescenti la proferiscono con una disillusa certezza tra sogni e speranze. Diciamocelo chiaramente: intraprendere la carriera del calciatore è una gran bella scelta: prima di tutto perché lavorare con le proprie passioni è sempre un privilegio ma, nel migliore dei casi, si va incontro a fama, vittorie, vita tranquilla, venti anni di onorata carriera e tanti soldi. Sì, proprio i soldi. Inutile essere puritani e sofisticati nel 2016, ancor più in un periodo storico particolare come quello attuale. Se è vero che la ricchezza non fa la felicità ma aiuta a costruirla, c’è ancora tantissima gente che con 12-15 ore al giorno ce la fa a stento ad arrivare a fine mese senza assicurare un futuro ai propri figli, tra sacrifici e stenti.

Tanta dietrologia, certo, ma l’assunto iniziale è sempre lo stesso: che male c’è a vivere delle proprie passioni alla modica somma di un tot generico di un milione d’euro annuali di ingaggio? Proprio niente anzi, chapeau. E nulla fa se si sta lontano dalla famiglia, se è il menisco a salutarti, se di amici ne hai pochi e magari quelli dell’infanzia, che devi farti piacere il dover parlare ai mass media anche quando si perde e stare costantemente sotto pressione. Una volta appese le scarpette al chiodo c’è tutto oltresì modo di recuperare il tempo perduto, godersi la famiglia e gli affetti.

Ma non a 31 anni, quando le battute finali della tua carriera sono già scritte ma non annunciate. Proprio oggi, l’ex azzurro Ezequiel Lavezzi ha fatto una scelta. Era ad un bivio, com’è consueto nella vita e nello sport: mente o cuore, razionalità contro passionalità, Cina contro Ligue 1. O magari l’Italia ed ancora la Champions. Davanti a 16 milioni di euro stagionali però, anche il più perfetto maestro di vita vacillerebbe più di un attimo. Immaginate solo cosa si possa fare con ben 16 milioni di euro all’anno per due anni, o meglio con ben 44 mila euro al giorno.

Ci si sistema una vita, non per un biennio. Si fanno progetti, si aiuta il prossimo, pensi alla vita dopo il calcio, in un giorno magari neanche troppo lontano quando i fasti delle tue imprese saranno solo un ricordo. In Cina, così come in Francia, il calcio è lo stesso: stesse regole, stesso pallone. Cambiano sì le motivazioni, le cifre ed anche le pressioni che persino diminuiscono vertiginosamente.

Non spetta a noi fare morali, dare insegnamenti di vita: il calcio è bello perché ognuno può darne un’interpretazione, ogni tifosi può commentare ciò che accade secondo il proprio punto di vista. Ma per una volta, caliamoci tutti nella realtà di chi la vive, bagniamoci di realismo ed obiettività: perché non si vive solo di sogni e romanticismo ma anche di durissimo cinismo, quello figlio del calcio moderno senza bandiere ma fatte di scelte dettate da altre priorità.

Alessia Bartiromo
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