Marek scuro, in attesa di Marekiaro: il capitano che non c’è, nella notte più importante

Le battute con annesse citazioni da “Chi l’ha visto?” si sono sprecate. Però c’è da ammetterlo: Marek Hamsik, la sua presenza, l’ha fatta a metà. O meglio, l’ha fatta a sprazzi: ch’è pure peggio. Un mancino potente, spentosi sul fondo dopo aver messo paura a quarantamila juventini: bottino magro, magrissimo. Soprattutto se sei il capitano e l’anima di una squadra – ancora – in lotta per lo scudetto.

LA PARTITA – Due tackle in novantatré minuti, un solo filtrante intercettato. E poi mai un affondo, e nemmeno un serio tentativo di bucare la difesa bianconera. La disfatta dello Stadium ha difatti il suo volto, ma senza contare la cresta. Bassa, pure tanto. Perché inerme davanti ai filtri di Marchisio e Pogba, perché incapace di sfruttare il momento di down anche di Sami Khedira. Sembrava volersi limitare al compitino, lo slovacco. Non è riuscito, purtroppo per lui, neanche in quello. E quel cumulo di rimpianti si trasforma in montagna di rimorsi, e a sua volta in un pugno chiuso col nulla dentro. Ecco: se occorreva l’ennesima dimostrazione di forza, ci siamo ritrovati con un piccolissimo passo indietro. Soprattutto da parte di Marek.

RIPRENDERSI – Zero punti agguantati, uno strappato sul più bello (o brutto, fate voi). La leadership s’è persa, e i bicchieri finiscono irrimediabilmente per essere mezzi vuoti. Alla fine, molto si riduce in una differenza: quella tra l’esserci o meno. Banale, scontato, parlare riferendosi alla prestazione del diciassette a Torino. Piuttosto sadico, addirittura, continuare a specularci su. Quel ch’è davvero importante trarre da una cattiva prestazione è il modo in cui si rimedia. Lottando, lavorando, incazzandosi. Hamsik ha un’occasione d’oro: può ripagare affetto e stima. E può farlo in un modo solo: consacrandosi alla storia. Alzando un trofeo, dimostrando di essere più forte di una cattiva trasferta. Non è finita qui: l’immagine triste di Higuain in lacrime è pur sempre una tappa, non la meta del viaggio. Da buon capitano, saranno parole fondamentali per il prosieguo: il discorso al gruppo, in fondo, si costruisce attraverso quelle piccole parti che allo Stadium han fatto in fondo la differenza. Come la garra, lì in mezzo al campo. Come la calma, la consapevolezza, la tranquillità di un gioco mai realmente di proprietà del Napoli. Chiamarli dettagli sarebbe assurdo. Analizzarli per poi ripartire dalle defaillances, sarebbe certamente più saggio. Ora c’è il Milan: altra prova del nove, e del diciassette. Marek scuro, un consiglio: torna Marekiaro.

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Cristiano Corbo

 

 

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