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Accomodato sulla sua poltrona in pelle, magari con un buon sigaro tra le dita. Tv accesa e giornali sportivi freschi di stampa passati in rassegna. La immagino così la mattinata di Roberto Mancini. La vittoria striminzita ma comunque pesante ottenuta al San Paolo non gli bastava. Ha cercato lo scacco matto e, con l’Italia perbenista a fare da esca, l’obiettivo era prevedibilmente raggiungibile. “Siamo tutti Mancini”, probabilmente. Non c’è da andarne fieri, in ogni caso. Attenzione, però. Lui è solo l’ingranaggio di una macchina del fango che attendeva di essere attivata da mesi. Nel mirino, quasi scontato dirlo, l’ambiente Napoli. Eppure il tourbillon non infastidisce l’intero emisfero azzurro. Qualcuno si nasconde dietro le fiamme per sfuggire ai suoi errori. Un po’ come l’amante che approfitta del litigio tra moglie e marito per sgattaiolare via dal balcone.

Non è stata una serata felice, ammettiamolo. Nessuno di noi impazzisce per la Coppa Italia, soprattutto dopo i recenti successi e per i traguardi sui quali si battaglia in questa stagione. Ma proprio in questi termini una sconfitta interna, tra l’altro contro una diretta concorrente in campionato, demoralizza e innervosisce. Nella crescita mentale di una squadra ha un posto di rilievo l’abitudine a vincere in ogni luogo e per qualsiasi trofeo. Un discorso, questo, che al Napoli sa di ramanzina eccessiva. Una squadra dalla quale ci si attendeva almeno un passo falso in Europa League a qualificazione ottenuta e invece ha sempre onorato al massimo tutti gli impegni. Anche ieri sera, soprattutto nel primo tempo, c’è stato tanto furore agonistico e voglia di far bene malgrado la rotazione di vari uomini. E’ mancata la cattiveria, ma è un aspetto che spesso ha condizionato le prestazioni azzurre. In linea generale, una battuta d’arresto figlia di episodi si può accettare senza battere ciglio. La magnificenza di quest’opera d’arte non è stata nemmeno scalfita.

Esattamente su queste basi, occorreva un esplosivo ben più massiccio per far tremare gli scaffali con tutti i record azzurri. Ridimensionare le potenzialità dei partenopei, riprendere la solfa trita e ritrita del Napoli irrimediabilmente Higuain-dipendente, tirare fuori dalla credenza dopo tempo immemore “il turnover esagerato”. Tutto questo è puro solletico ormai. L’astuto Mancini, invece, ha studiato la ricetta della nonna per avvelenare gli animi: il pasticcio mediatico. Magari anche per invidia verso il primo della classe, osannato da ogni dove, mentre lui non riesce a raccapezzarsi con la sua accozzaglia di calciatori in cerca d’autore. Sarri ha sbagliato, ha chiesto scusa e il processo rieducativo di questo Paese deve sbarazzarsi anche dei “sono cose da campo” ormai inaccettabili. L’omofobia, però, è altra cosa. Lo sa benissimo il mister, lo sa altrettanto bene chi lo critica. I fautori di questo impasto sono imbecilli o semplicemente in malafede. Il polverone è stato sollevato, c’è da applaudire gli ideatori. Certo è che la mandria di detrattori non ha considerato quanto un episodio simile possa ricompattare il gruppo invece di indebolirlo. Sarebbe uno schiaffo morale difficile da digerire.

Vittime e carnefici di una regia occulta. Vittime e carnefici che si azzuffano e finiscono per confondere i ruoli. Per quel “finocchio” maldestro scivolato dalla bocca di Sarri, le indicazioni fornite dalla gara di ieri sera sembrano finite in secondo piano. Niente di nuovo, a dirla tutta. La mancanza di qualità a centrocampo, alla lunga, ha fatto la differenza nella gestione della gara. David Lopez, prima dell’infortunio, si è mosso discretamente ed è parso decisamente volenteroso. La caratura tecnica resta lontana da quella dei titolari. Qualche buono sprazzo l’ha avuto Valdifiori, il quale però fatica oltremisura sul piano atletico, dovendo spesso soccombere alla foga dei dirimpettai. E’ qui che il Napoli attende nuove dagli ultimi giorni di calciomercato. In realtà le aspettava anche un po’ prima. La società, tra prezzi gonfiati e mezzi rifiuti, è ferma sul ciglio della strada. Dieci giorni e poi si rischierà di rimpiangere amaramente questa sessione di gennaio. E chi saranno le vittime?

L’allenatore toscano e gli uomini a disposizione hanno dimostrato a cosa può ambire questo Napoli. Se ci sarà un calo nei prossimi mesi, sarà facilmente legato a quella coperta maledettamente corta. E alla reticenza nei confronti della politica del rischio e dell’investimento su un sogno clamorosamente realizzabile. Una storia ormai vecchia, così come quella delle promesse mai mantenute. Il patron sa benissimo che il rapporto con la tifoseria è ad un bivio. Sta a lui scegliere la strada da intraprendere. Il pubblico del San Paolo, nel frattempo, ha scelto la sua. Ringraziare la squadra e cantare anche alle pendici di un’eliminazione. Orizzonti nuovi. Da tutto il marcio di Napoli-Inter, quelle note le porto via volentieri.

Ivan De Vita

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Articolo modificato 21 Gen 2016 - 21:52