Napoli orfano dei leader e dell’approccio giusto, finale offensivo ma ritardatario e sterile. Così fa ancora più male

Dal Bentegodi… al Bentegodi. La beffa del Napoli passa ancora per Verona e come un dejà vu riaffiorano alla mente quelle parole del lontano 2011. “Rifarei tutto, abbiamo giocato una gara ogni tre giorni, era necessario fare il turnover”, ripeteva a gran voce Mazzarri, consapevole di aver rischiato per sacrificare i tre punti davanti al massimo impegno europeo. È ancora così, dalla sala stampa dello stadio scaligero, Benitez prova a fare il mea culpa dietro alle scelte forzate della trasferta contro l’Hellas di Mandorlini. “Con tante partite in ballo, la rotazione per i calciatori è quasi obbligatoria”, ma in quel “quasi” resta la delusione della folla.  Insolita corsia di destra, con Mesto per Maggio e De Guzman per Callejon. Lo spagnolo, costretto al tour de force e giustamente finito in panca per un Gabbiadini al massimo della forma, stavolta sarebbe piaciuto a quella parte di tifo che l’avrebbe sacrificato volentieri per il bergamasco. Frutto di insoddisfazione e di un ostentato arrangiamento che non può far forza né sul terzino titolare azzurro, ancora fuori per rifiatare, né sull’ex Samp e i suoi lampi di genio. Fuori anche Higuain, che cede il posto a Duvan: cuore e grinta, ma sprecato senza il supporto dei compagni di reparto.

SINDROME AMNESICA – Ammessi i meriti dell’Hellas, che nella notte di vento Veronese fa affidamento su un certo Luca Toni – che i suoi 37 anni li lascia solo sui documenti -, il Napoli fa acqua da tutte la parti e sembra aver lasciato testa e gambe ai piedi del Vesuvio. Poca grinta, poca voglia. La concentrazione è solo un ricordo lontano, abbandonata al San Paolo dopo la vittoria con i russi della Dinamo Mosca. E si sa, oltre ai limiti tecnici evidenti, ma a tratti provati a nascondere sotto il tappeto di casa, il fattore testa si rivela ancora una volta determinante per condurre gli avversari a prestazioni superlative. Bravo il Verona ma, ancora di più, irriconoscibile il Napoli. Come quello di Palermo e Torino, che gioca da dilettante e abbandona il sogno secondo posto. Con la Lazio alle strette e la Roma ferma a più quattro e una gara in meno affrontata, l’ennesima prova azzurra si porta gli strascichi di una mentalità sbagliata.

DENTRO TUTTI – Inutile il tentativo in extremis di Benitez di gettare nella mischia, uno per volta, i suoi uomini migliori. Callejon è la prima carta giocata da Rafa, che richiama in panca un De Guzman disorientato e poco concreto. Poi l’estrema mossa offensiva, che vede Mesto lasciare il campo e Higuain affiancare Duvan in un insolito 4-4-2, mentre Hamsik cede il posto a Gabbiadini. Il doppio ingresso, del Pipita prima, e di Manolo poi, restituisce al Napoli l’anima di una squadra dai vertici della classifica. Il sacrificio di Gonzalo, che torna a prendere palla dalle mani di Andujar, come il palo interno di Gabbiadini, ricordano per un attimo quanto sia bello avere in squadra fenomeni del loro calibro. Ma come un boomerang, alimentano maggiore rabbia e delusione per aver sprecato ancora un’occasione importante. Perdere è lecito, ma così fa ancora più male.

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