La mente va allenata per vincere. E il cuore?

Maledetta continuità. Maledetti i giorni in cui ci incrociamo per strada e non fai altro che voltare le spalle. Perchè è intutile nascondersi. Con il Napoli, si sa, non hai mai avuto un buon rapporto. Uno step che attendiamo da anni, una consacrazione della maturità che tarda sempre ad arrivare. Rendendo così gli azzurri i principali nemici di loro stessi. E fa tanta rabbia. Perchè ogni qualvolta il cielo sembra poter essere sfiorato con le dita, la scala di legno costruita nel tempo cede di botto e ruzzoliamo giù rovinosamente. Che dolore!

Questa squadra non sa ancora vincere tutte le partite – ha dichiarato Benitez in settimana – Non siamo abituati”. Mi hanno colpito queste parole. L’abitudine a vincere. Mentale, chiaramente. E anche la mente va allenata, al pari della tenuta atletica e della componente tattica. Ma l’aspetto psicologico è tra quelli più rognosi, perchè imprevedibile e per niente omologabile su tutta la rosa. Il vero limite è saper sopportare la pressione di ogni impegno, mantenere sempre alta la concentrazione e scendere in campo per ottenere i tre punti in ogni occasione. Un problema atavico per il Napoli. E, diciamocela tutta, da un vincente come Rafa si attendeva proprio quest’iniezione di eroina sui neuroni un po’ più passivi. Purtroppo, malgrado i notevoli segnali di crescita, quest’assimilazione ancora latita.

E i nervi si intrecciano. Non solo i nostri, a quanto pare. Perchè un Benitez così “incazzato” difficlmente lo ricordo. Ora, al netto delle favole mediatiche che fanno di tutto per attentare alla nostra integrità, il suo atteggiamento ha spiazzato un po’ tutti. Ma per un fine comunicatore come lui, questo mezzo passo falso davanti ai microfoni non può non avere una ragione sottintesa. Scagliarsi contro l’arbitro sarebbe stato davvero vile dopo la gara contro il Toro: addebitiamo al mister tutti gli errori tattici che ritenete opportuno, ma mai nessun dubbio mi ha sfiorato sulla sua signorilità. Allora era un segnale contro la società, contro il calcio italiano, il prologo di un addio annunciato? Catastrofi, come di consueto.

Personalmente mi atterrei ai fatti. Alcuni aspetti dei suoi ragazzi non gli sono piaciuti, li ha strigliati a lungo il mattino successivo e li abbiamo ritrovati in campo mercoledì all’Olimpico. Bene, se la risposta alle critiche è quella fornita contro la Lazio, allora i calciatori sono con l’allenatore. E accettano a testa bassa la sua ramanzina dopo una ragazzata. Riversando poi in campo tutta la rabbia, puntando a vincere fino al 90’ una gara nella quale il pari era già benedetto. Un po’ come accadde in Turchia dopo la figuraccia di Palermo. A dirla tutta, il tecnico spagnolo sembra aver trovato il bandolo della matassa in quanto a motivazioni da infondere nella singola partita. Anzi, nelle trasferte di coppa, l’atteggiamento è parso nettamente più propositivo rispetto a qualche tempo fa. Resta il cruccio dal quale ha origine questo pezzo. La necessità di non appiattire l’elettro-encefalogramma quando le gare appaiono a malapena più abbordabili.

Il primo alibi da piazzare sul tavolo quando piovono risultati altalenanti è la condizione fisica. Troppe gare, tutte ravvicinate e fondamentali, rotazione con il contagocce per ovvi motivi. Ma non c’è nessun calcolo matematico alle spalle. Tant’è che il miglior Napoli contro Torino e Lazio si è visto nei secondi 45’, proprio quando ci si doveva trovare a corto di fiato. Anche qui, certo, c’è una reazione a catena. Approccio fallito, primo tempo sottotono, bastonate all’intervallo e finalmente una ripresa da squadra degna del suo potenziale. Tralasciando i soliti cali di tensione che ormai sembrano una malattia degenerativa. Tuttavia il gruppo c’è, con lucidità e cattiveria, talvolta per abbattere i suoi stessi limiti. Le gambe girano, dunque, ma soprattutto deve pulsare il cuore. Perchè se la mente ha bisogno di essere sempre allenata per non finire alienata, il cuore deve sostenere anche gli impatti dolorosi e non smettere mai di crederci. Altrimenti è la fine.

La fibra cardiaca su cui poggia l’intero impianto azzurro è senza dubbio Walter Gargano. Oggi l’uruguaiano si è infortunato in allenamento e ne saremo privi per una quindicina di giorni. E sembra quasi un paradosso dover imprecare così tanto per la sua assenza. Ma l’ha voluto lui, noi fino a poco fa non facevamo altro che fischiarlo! Ora sembra insostituibile, probabilmente lo è. Inler e Jorginho sono già in debito d’idee e d’ossigeno, dovranno anche caricarsi un cuore così grande sulle proprie spalle. Nel momento nevralgico della stagione con due bypass in mezzo al campo. Ce la faranno a reggere il battito?

Ivan De Vita

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