Una notte speciale per Paolo Cannavaro, dallo splendido omaggio della Curva B alle emozioni di un azzurro perso ma stampato nel cuore e nell’anima

Chi ama non dimentica. E’ questo il leit motiv dei tifosi del Napoli, tutti, senza distinzione o appartenenza che, nel bene e nel male, non dimenticano mai il percorso di un giocatore che ha avuto l’onore e l’onere di vestire la casacca azzurra. Duro e preciso il diktat: bisogna dare tutto per la squadra, dimostrare grande attaccamento alla maglia, sposare in pieno la causa del club di De Laurentiis, sentir scorrere nelle vene la voglia di vittoria e rivalsa di una città bistrattata e denigrata per anni da tutti e che ora, finalmente, sta tornando sempre più alla ribalta arricchendo la bacheca sportiva di trofei, Coppe e storici successi.

Risulta sulla carta, solo sulla carta, tutto ancor più semplice se sei napoletano e sei nato proprio a Fuorigrotta, quartiere Loggetta, a due passi dal “San Paolo”. Paolo lo conosce bene quello stadio, lo guardava ammirato ed innamorato sin da bambino, con suo fratello maggiore. Da adolescente lo ha vissuto, con le giovanili della sua squadra del cuore e sugli spalti da tifoso, fino a coronare il sogno di ogni bambino dal cuore azzurro: esordire in prima squadra con la maglia del Napoli. E’ il 1998, ha 17 anni ed un grande difetto. Paolo è il fratello del già noto fuoriclasse Fabio e nulla gli è dovuto o regalato, ancor più nella sua terra dove la strada è ancor più in salita. E’ costretto a lasciarla una prima volta per ben otto anni. Cresce, matura, diventa un difensore completo, un papà, un marito.

Tra Parma e Verona nel 2006 arriva la chiamata di una vita: è ancora il Napoli, appena reduce dall’inferno della serie C. Gli azzurri del neo presidente De Laurentiis sono in cadetteria e per tornare a brillare nella massima serie sognano proprio quel ragazzino di Fuorigrotta che ha da sempre la maglia azzurra nel cuore. Come non accettare: saranno otto anni stupendi, intensi, fatti di battaglie, rivincite, momenti in salita, polemiche, vittorie, Coppe alzate al cielo e successi ma con una sola fede: quella azzurra, quella del suo Napoli, che non ha mai dimenticato e del quale è diventato l’indiscusso capitano. Il rapporto con i tifosi è stato sempre altalenante: come ogni figlio di Partenope, i supporter chiedono sempre il massimo ed a volte diventa alquanto difficile quando si è sotto pressione. Ma con grande abnegazione, sacrificio e caparbietà Paolo ci riesce, perché chi ama non dimentica.

Con l’avvento di Benitez però, qualcosa si rompe. La rivoluzione è nell’aria ed il capitano trova sempre meno spazio. Una scelta dovuta, mai sentita e forse obbligata da una carriera che ormai si avvia al termine e che non può essere già bruciata: il 31 gennaio 2014 lascia Napoli, questa volta per sempre da calciatore e da capitano, approdando al Sassuolo dove ritrova subito la continuità persa. Non mancherà occasione per rinnovare il suo grande amore per Napoli, il Napoli ed i tifosi azzurri, spesso tornando al “San Paolo” da tifoso in curva B, quella che da ragazzino lo ha visto intonare cori, soffrire e gioire per la stessa maglia che ha indossato con onore e la stessa che ieri sera gli ha dedicato uno splendido striscione: “Ti hanno tolto la tua maglia ma non la tua fede, bentornato a casa capitano”

Ieri sera è tornato da avversario Paolo Cannavaro con una maglia diversa, strana, che non gli calza a pennello come quella azzurra. Che lo vede antagonista ma sempre amico, con il solito sorriso solare e l’estrema disponibilità verso tutti. Ma nel calcio, così come nella vita, ci sono certi legami che vanno oltre lo spazio ed il tempo. La Curva ne è testimone, il “San Paolo” e tutta Napoli lo splendido palcoscenico: perché chi ama non dimentica e Paolo Cannavaro, finalmente, non sarà sicuramente dimenticato.

Alessia Bartiromo
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