La conferma Strinic e la classe di Manolo, Bigon al “Bentegodi” si gode il suo operato

C’è chi ama i riflettori e chi preferisce fare della pacatezza e del lavoro il proprio credo. Da quell’ottobre del 2009 Riccardo Bigon in riva al Golfo di strada ne ha fatta. Tassello dopo tassello, nonostante scossoni, cessioni sofferte, il diesse azzurro è stato tra gli indubbi artefici dei tre trofei della gestione De Laurentiis, delle grandi galoppate sotto la guida di Walter Mazzarri, con cui condivise l’approdo all’ombra del Vesuvio, allo step successivo, il confronto con un vero e proprio guru del calcio mondiale, Rafa Benitez. Punto fermo di un Napoli da tempo ai vertici del panorama italiano, presenza costante in quello europeo. Errori? Alcuni, Vargas senza alcun dubbio il più eclatante. Intuizioni? Molte, spesso passate in secondo piano dati gli ingombranti referenti, dal patron ai tecnici, sempre minuziosi, esigenti, personaggi ai quali è facile lasciare la ribalta, ai quali ha sempre garantito un lavoro certosino, senza sosta.

La bella vittoria degli azzurri a Verona, il salto deciso verso le più ripide vette della classifica, con annessi galloni colmi d’entusiasmo, voglia di non arrestarsi, porta, anche, molto della sua firma. L’acquisto a parametro zero di Ivan Strinic rappresenta già ad oggi, ad un mese dal suo approdo in azzurro, un piccolo capolavoro. Le ottime stagioni al Dnipro erano già, di per sé, un ottimo biglietto da visita, ma l’impatto dell’esterno croato con il contesto azzurro ha davvero stupito, persino i più ottimisti. Non solo l’ottima propensione all’offesa, l’esterno di Spalato sbalordisce per la naturalezza con la quale riesce a dosare concentrazione, energie, senso della posizione, tutto corredato ovviamente da quella spinta da fluidificante puro che garantisce un costante riferimento alla fase propositiva partenopea.

Poi c’è il fiore all’occhiello della sessione di mercato invernale, quel talento classe ’91 che, parola del suo agente Pagliari, Bigon seguiva già – appena diciannovenne – ai tempi del Cittadella. Un investimento studiato da tempo, quello su Manolo Gabbiadini, a fari spenti, forte di una stima che anno dopo anno, stagione dopo stagione, continuava a crescere, progressivamente, attendendo l’occasione propizia. La rete con cui gli azzurri sbancano in terra veneta nasce proprio su quell’asse costruito all’alba di un mercato invernale in cui gli azzurri hanno lavorato a fari spenti, ma con intelligenza e lungimiranza. Due colpi che rappresentano lo specchio del lavoro del dirigente azzurro e dei suoi collaboratori, errori potranno nuovamente riproporsi, del resto l’assunto: “Solo chi non opera non sbaglia” è una realtà inconfutabile. Ma la competenza e la coerenza saranno sempre un punto fermo della loro esperienza in azzurro, questa è una certezza.

Edoardo Brancaccio

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