IL MATTINO – Bianchi: “Napoli, ti spiego cosa manca ancora per vincere lo Scudetto…”

Sono passati quasi ventotto anni dal primo scudetto, eppure l’ambiente partenopeo non è cambiato affatto. La pensa così Ottavio Bianchi, e lo fa capire attraverso un’intervista rilasciata ai taccuini de Il Mattino. I metodi di lavoro duri, la forza del gruppo, e il cambio di mentalità: questi i segreti della ricetta che portò il Napoli a vincere lo scudetto nell’87. Ecco la versione integrale dell’intervista rilasciata a Il Mattino:

Era il 1987. Ma bisogna partire da molto più indietro: 20 anni prima almeno. Arrivavo dal Brescia e trovai un presidente, Roberto Fiore, che voleva per forza vincere lo scudetto. Ma a Napoli invece ci chiedevano solo di battere la Juventus e l’Inter. Era un chiodo fisso.E infatti il lunedì prima di Napoli-Juve o Napoli-Inter guardavo Sivori e Altafini, li vedevo allenarsi e capivo che quei grandi attori stavano già preparando la loro parte. Per una volta,non ci sarebbe stato bisogno di spronarli per farli correre”.

E vent’anni dopo? Allodi venne da me a Como e mi chiese di allenare il Napoli. Per un mese dissi di no: avevo ben chiara quell’immagine e sapevo che non sarei mai riuscito a vincere nulla in quella città senza fissare dei paletti. E accettai solo quando ebbi piena carta bianca. Dovevo cambiare la mentalità”.

Racconti. Applicai la teoria del lavoro quotidiano. Si sgobba ogni giorno dell’anno e non solo quando sta per arrivare la Juve o l’Inter. Chiesi a tutti dedizione e applicazione per ridurre il gap dal vertice.Imposi con fermezza una serie di regole fin dal primo giorno di ritiro. E tutte ruotavano sul sacrificio e l’allenamento costante. E le imposi per primo a Ferlaino. Gli dissi: così,o duro 15 giorni o faremo molta strada”.

Cosa temeva? Napoli è sempre stata uguale: negli anni’60, negli anni ’80 e pure adesso. Si esalta e si deprime con la stessa velocità: la tendenza ad accontentarsi era invece contraria al mio approccio. Iniziai ad allenare la testa,a non accontentarmi mai: spiegavo ai giocatori quello che rappresentava la maglia azzurra, li massacravo negli allenamenti, esaltavo la loro voglia di vincere. Poi avevo Maradona a fare tutto il resto”.

Il trucco? Il Napoli era stato spesso un gruppetto di campioni da assemblare, spesso era considerato come una specie di cimitero di elefanti. Con me divenne una squadra senza egoisti che ogni giorno doveva lavorare sodo per raggiungere gli obiettivi. Senza mai mollare. Mica era semplice creare un gioco corale quando avevi solisti fantastici come Diego,Giordano,Careca, Bagni…”.

Un martello. Per questo ad Ascoli le urlarono”te ne vai o no”? Il motivo fu un altro.Presi le difese di un giocatore che stava giocando malissimo.Volevano che lo sostituissi. Avevano ragione, era indifendibile. Ma non lo feci perché se magari non era chiaro a qualcuno, volevo dimostrare che comandavo io. L’autorità dell’allenatore è una delle chiavi per una mentalità vincente”.

Lavoro, lavoro,  lavoro, dunque. De Laurentiis dice che Napoli non è matura per lo scudetto. Non mi sembra che Napoli sia così diversa dalla Napoli che ho conosciuto da giocatore e poi da allenatore. Resta sempre quel viziaccio di mettere tutto in discussione dopo un passo falso e di sentirsi sulla luna dopo una vittoria all’ultimo secondo”. 

Lei ha vinto,dia un consiglio. Martedì c’è il Cesena, giusto? E poi la Juventus? Ecco, il Napoli di Fiore o dei primi anni di Ferlaino con la testa sarebbe già alla gara con la squadra di Allegri e i giocatori a Cesena penserebbero solo a non farsi male per non saltare il big match di domenica. Io invece spiegherei che i tre punti in palio in Romagna sono esattamente gli stessi in ballo domenica sera al San Paolo. E che io non saprei che farmene di un pareggio col Cesena e di una vittoria poi con la Juventus”.

Convincente.  Ha visto i 25 mila per un allenamento? Chi si stupisce non ricorda le nostre partitelle al giovedì al San Paolo: ce n’erano 50 mila. E non perdonavano neppure un passaggio sbagliato”.

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