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L’editoriale di Luciana Esposito:Napoli,dove hai la testa?

Ce la siamo lasciata alle spalle da due giorni, eppur ci pensiamo ancora.

Sovente sorprendiamo la mente a ripercorrere i momenti topici della regina delle sfide, quella che Napoli attende per un anno e che dura un’eternità, quella che non termina con il triplice fischio finale, ma si protrae ben oltre il tempo regolamentare di gioco, quella che non coinvolge solo gli 11 in campo, ma chiama in causa un intero popolo che, in quell’occasione, in maniera assai più totalizzante e partecipativa rispetto a quanto avviene di consueto, si schiera accanto alla sua squadra, per non osteggiare semplicemente un avversario calcistico, ma l’ideologia, lo status, i valori dei quali quella squadra si fa portatrice, così opposti e contrastanti con la politica del “cà nisciun’ e fess‘ ” e dello “scurdammece o’ passat’, simm’ e Napule paisà” sulla quale, invece, si ancora l’anima imbastita nella maglia azzurra.

La mente setaccia con accorta e minuziosa precisione, le fasi salienti del match, alla ricerca del capro espiatorio utile a motivare quella prestazione che molti sono decisi ad archiviare sotto la voce “disfatta“.

Ad onor del vero, la Juventus ha sviscerato in campo tutta la sua sfrontata audacia, chiudendo bene gli spazi dopo la rete ed impostando fulminee ripartenze, allorquando gliene era concessa l’opportunità.

Ormai, è ampiamente assodato che il Napoli, quando non può giocare da Napoli, arranca, fatica, perde smalto e lucidità e si rivela incapace di conferire malleabilità e versatilità alla trama di gioco.

Nel momento in cui vedono elusa la possibilità di impostare il gioco sulle fasce, piuttosto, gli azzurri perseverano nelle azioni insistite, nella vana speranza di giungere fino in porta con la palla tra i piedi, proposito utopistico, al cospetto di una squadra completamente arroccata nella sua 3/4 di campo.

L’alternativa potrebbe ravvisarsi nei tiri dalla distanza, con i quali si innesca una variabile imprevedibile le cui discriminanti sono rappresentate dalle deviazioni, dai rimpalli e, perché no, anche da un fortunoso soffio della Dea bendata.

Non a caso, è così che è maturato il gol del pareggio del Napoli, conseguenzialmente ad un bolide dalla distanza calciato da Inler.

Tralasciando gli episodi ai quali carta stampata e caratteri digitali hanno fornito ben ampio spazio, la gara disputata lo scorso venerdì, ha sentenziato un allarmante e triste verdetto: al Napoli manca la mentalità da grande squadra.

Troppo tesi e nervosi gli azzurri e questo impensierisce, poiché, a fronte delle notti magiche di Champions League, vissute lo scorso anno, allorquando si ritrovavano a misurarsi contro avversari illustri, il timore reverenziale che una matricola può provare al cospetto di una Big, dovrebbe essere superato.

Invece no.

Poiché, ogni volta che gli azzurri sono chiamati ad inscenare “la prestazione” vengono clamorosamente meno, ciccando le occasioni più ghiotte ed inciampando in errori grossolani e basilari, nei fraseggi piuttosto che nell’impostazione di gioco.

L’eccessivo nervosismo che trasudava soprattutto dai pori degli uomini cardine, meriterebbe un’analisi più accorta ed approfondita da parte di chi può e deve intervenire per smussare anche quest’aspetto.

Anche perché, se il Napoli fosse sceso in campo armato di lucido cinismo e freddaavidità, probabilmente, avremmo assistito a ben altra gara e staremmo commentando, forse, un risultato differente, poiché l’eccessiva tensione divora raziocinio e scioltezza e, in vista della galoppata finale che il Napoli ha l’obbligo di provare a compiere, da qui al 19 maggio, è un’handicap del quale questa squadra ha l’obbligo di disfarsi.

Risulta ancor meno costruttivo, confrontare il cammino attuale con quello inscenato la scorsa stagione, utilizzando come metro valutativo i punti maturati un anno fa, poiché le problematiche che la squadra affronta e con le quali si confronta quest’anno sono discrepanti rispetto a quelle che hanno contraddistinto la scorsa stagione, così come diverso e mutato è il valore delle squadre avversarie.

Ogni Campionato è una storia a se stante, così come lo è ogni singola partita.

Il bilancio va stillato a fine stagione, ponendo su un piatto della bilancia tutto ciò che ha concorso a conseguire punti e, sull’altro, gli elementi che, invece, hanno determinato sconfitte e disfatte.

Al momento, è chiaro e palese che questa squadra necessita di una presa di coscienza forte, immediata e repentina, utile a consentirgli di ritrovare maggiore praticità e quella inarrestabile brama di vittoria che, in verità, gli azzurri non palesano in campo da svariate prestazioni.

Mazzarri ha più volte dichiarato di aver conferito un’anima a questa squadra.

E’ giunto il momento di plasmargli anche una testa, se alla parola “squadra“, vuole realmente anteporre l’aggettivo “grande“.

Luciana Esposito

Riproduzione Riservata

 

Articolo modificato 3 Mar 2013 - 16:15

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Scritto da
redazione