Il sogno da bambini: perché Napoli si è innamorata di Kvaratskhelia

Al contrario della maggior parte degli sport al mondo, per giocare a calcio non servono strutture particolari o costose. Un pallone e una saracinesca che si trasforma facilmente in una porta, bastano a ricreare un campetto ad ogni latitudine del mondo. È quello il primo approccio che la maggior parte delle persone hanno con il gioco, soprattutto a Napoli dove ancora vive la cultura del campo da strada.

Ogni, spazio può diventare un terreno verde e poco importa che si giochi sui sanpietrini, usando due zaini come porte o che il pallone non sia in cuoio ma un Super Santos preso alla merceria all’angolo. In quegli infiniti pomeriggi passati a sbucciarsi le ginocchia, chi di noi non ha sognato, anche solo per un istante, di diventare un calciatore

Quel calcio, quello con cui siamo cresciuti, non è fatto di uno due, di sovrapposizioni, diagonali difensive e schemi. Tutto questo arriva dopo con organizzazione a allenamento. Il pallone che ci ha fatto innamorare è quello del dribbling, della sfida, dell’uno conto uno, di quando sei solo davanti al tuo avversario (perché passare la palla è un optional) e per fare gol puoi solo superarlo.

IL GEORGIANO RISVEGLIA IL SOGNO

Khvicha Kvaratskhelia con il suo modo di giocare ci riporta a quegli istinti primordiali, a quell’amore che ci ha fatto brillare gli occhi da bambini. Ogni dribbling riuscito ci fa ritornare a quell’emozione irripetibile, la ruleta di ieri con annesso missile stampato sul palo per esempio è una di quelle cose che ti fa alzare dal divano ancora prima tiro.

Khvicha Kvaratskhelia contro il Verona (via Getty Images)

Un gesto che ti lascia con il fiato sospeso forse non tanto per quanto fatto ma perché l’avevi quasi dimenticato, uno di quei gesti che hai visto tante volte su quei sanpietrini (non con la stessa qualità) e che riaccendono l’emozione di un sogno che dentro di noi non si è mai spento del tutto.

Un sogno come quello di Khvicha, che parte dalla lontana Georgia a ventun anni per ricordarci che amiamo il calcio perché ci fa sognare come poche cose al mondo e soprattutto perché ci fa tornare tutti bambini.

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