Verona-Napoli, il dado è tratto. Chi è il Giulio Cesare degli azzurri?

VERONA-NAPOLI ANALISIAlea iacta est. Quando decise di passare il Rubicone e di dare inizio alla guerra civile, Giulio Cesare pronunciò questa frase. “Il dado è tratto”, ormai non si può più tornare indietro. A 249 km (e poco più di 2000 anni) di distanza, il Napoli quest’oggi ha raggiunto un punto di non ritorno, proprio come Cesare. Il tonfo di Verona (3-1 per i gialloblu) non può passare inosservato e va analizzato sotto tutti i punti di vista.

Verona-Napoli analisi

Reduci dalla cocente sconfitta in Supercoppa, gli uomini di Gattuso si presentano al Bentegodi di Verona in grande spolvero. La sconfitta del Milan in casa contro l’Atalanta ed il pareggio dell’Inter ad Udine sono delle motivazioni più che forti per asfaltare l’Hellas. Detto fatto: Lozano dopo soli 8 secondi sfrutta un’incertezza di Dimarco e porta il Napoli in vantaggio, lasciando presagire una sfida completamente in discesa. Gli azzurri macinano gioco, attaccano con intelligenza, difendono con ordine; il raddoppio sembra una questione di tempo. Ci va vicino, vicinissimo, ancora il numero 11, ma lo strabiliante Silvestri gli nega la gioia della doppietta. Sembra, comunque, la partita giusta.

Finché al 34’ Dimarco, che tante colpe aveva sul vantaggio, decide di staccarsi dalla linea di difesa e far saltare gli schemi azzurri. Dormita di Maksimovic e Di Lorenzo, 1-1, tutto da rifare: è qui che il Napoli si spegne completamente. Nel secondo tempo il Napoli è la brutta copia di quello visto nel primo: non c’è ordine, non ci sono idee, non c’è qualità. Prima Barak (62’), poi Zaccagni (79’) archiviano la pratica con estrema facilità; a poco sono serviti gli ingressi di Mertens e (finalmente) di Osimhen.

Il copione già visto

Il copione è quello già visto durante la stagione. Gli azzurri giocano, convincono, spesso sciupano tutte le palle gol che riescono a creare. Basta però poco a far crollare il castello di carte costruito nell’arco del match: che sia una rete avversaria, un episodio a sfavore, un palo colpito. Il Napoli si scioglie come neve al sole e non riesce (quasi) mai a reagire. Sassuolo, Milan, Lazio, Spezia, Az sono gli esempi lampanti di come non si riesca a reagire ad uno “schiaffo” sportivo. Ciò che preoccupa maggiormente è senza ombra di dubbio la mancanza di carattere dei calciatori in campo, che sembrano essere sempre in balìa del fato. Non è accettabile lasciarsi andare ad ogni gol subito: qualcosa, al Napoli, manca.

La mancanza di un leader

Verona-Napoli analisi

Giuste le critiche a Gattuso, che a gara in corso non sempre riesce a leggere le fasi della stessa e ad imprimere la svolta necessaria. Ma qualcosa non gira, e non tutto può essere addossato all’allenatore calabrese. È palese che dalla rifondazione post sarriana, ed in particolare dalla cessione di Reina, Albiol ed Hamsik, Il Napoli non abbia sostituito adeguatamente i calciatori in questione. Sebbene infatti siano arrivati giocatori di tutto rispetto quali Meret, Ospina, Manolas, Fabiàn, è venuto a mancare il peso specifico nello spogliatoio dei “senatori”. Gli ispanici erano dei calciatori abituati a vincere, e col club e con la nazionale; lo slovacco era la bandiera, la colonna portante del Napoli dall’ormai lontano 2007. La loro presenza in campo e nello spogliatoio garantiva equilibrio, serenità, sicurezza: caratteristiche che sono diventate lacune pesantissime nell’attuale rosa azzurra. Basti pensare a come l’arrivo di Zlatan Ibrahimovic abbia svoltato il destino del Milan, capolista ed imbattuto per quasi un anno in campionato.

Il dado a Verona è stato tratto. Non è più possibile nascondere la testa sotto la sabbia. Lorenzo Insigne è il capitano, uno dei calciatori più tecnici in Serie A e sta vivendo una delle sue migliori stagioni in assoluto. Ma soffre troppo la maglia, la pressione, non può garantire la tranquillità necessaria ai compagni. Dries Mertens è un fuoriclasse, il miglior marcatore della storia del Napoli, ma il suo palmarès e la sua carriera non sono tali da poter dare qualcosa in più alla squadra. Bisogna ora guardare in faccia alla realtà e capire qual è il vero obiettivo di questa rosa. Chi è (se c’è) Il Giulio Cesare degli azzurri?

Matteo D’Angelo

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