Maradona e Messi. Non chiedete a un uomo di essere un Dio

Il compianto Luigi Necco, collega di razza della Rai, per descrivere la giornata di ieri dei mondiali di calcio avrebbe senz’altro detto, con la solita bonomia e voce roca: “Ronaldo chiama, Messi non risponde”. E’ questa infatti, la rappresentazione della verità, per quanto sintetica. L’attaccante dei blancos, ha affrontato praticamente da solo le furie rosse, regalandoci una delle migliori prestazioni individuali nella recente storia del calcio. Messi, chiamato ad una gara di spessore, dopo le mirabolanti gesta dell’eterno rivale la sera precedente, ha probabilmente disputato la peggior gara della sua carriera. La pulga, oggi, è quindi costretto a subire un attacco incrociato. Da una parte, la continua sfida con CR7 che in questo momento vede in vantaggio il portoghese, dall’altra l’eterno paragone con… Diego, el diez. Ma quali sono le cose che accomunano Messi e Maradona? E sopratutto, quali le differenze?

FUNERALE VICHINGO

Lionel Messi, 30 anni, poco prima del rigore fallito.

Partiamo da ieri e diciamoci la verità, l’avversario sulla carta era uno dei più abbordabili, perché per quanto arcigna e fisica potesse essere la compagine islandese, era impensabile fermare le bocche di fuoco dell’Albiceleste. Eppure così è stato. I freddi ghiacci dell’Islanda hanno bloccato il colpo in canna alle bayonetas dei sudamericani. Quello che però più di tutti, ha deluso le aspettative, è stato proprio il capitano, il numero dieci. Allo Spartak Stadium di Mosca, abbiamo visto la peggior versione di Messi. Confuso, testardo, e con la paura cucita in volto. Mai si era visto un Messi così, né in nazionale né tanto meno con il Barcellona. Sbaglia tutto quello che si può sbagliare, e poi dal nulla, mentre di solito caccia il coniglio dal cilindro, stavolta crea l’eroe di giornata. Minuto 64′, calcio di rigore per l’Argentina. Sul dischetto, naturalmente ci va lui, Leo Messi. In faccia gli si legge la paura di sbagliare, su di lui sente la pressione non solo di una nazione e dell’intero globo, sente sopratutto l’ombra di Diego che lo osserva dagli spalti. Rincorsa breve e… sbaglia! Hannes Halldòrsson, professione regista, ha parato un rigore a Leo Messi ai mondiali.

IL MONDO SULLE SPALLE

Atlante Farnese, esposto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Il poeta greco Esiodo, nella sua opera, la Teogonia, racconta la genealogia degli dei greci. Tra questi, viene raccontata la storia di Atlante. Figlio del titano Giapeto e di Climene, questi fu costretto da Zeus a tenere sulle spalle l’intera volta celeste per essersi alleato con Crono, che guidò i titani contro gli dei dell’olimpo. Quella di Atlante, fu una delle punizioni più terribili da sopportare. Il titano però era l’unico a poter sopportare un tale fardello. Nessun’altra delle divinità, per quanto forte, avrebbe potuto reggere un simile peso. Negli anni, sul rettangolo verde, abbiamo visto passare fenomeni di ogni tipo, tutti o quasi con caratteristiche diverse tra loro. Uno di questi, nei lontani anni ottanta, è riuscito in un’impresa mai riuscita a nessuno né prima né dopo. Un “negretto” di Villa Fiorito, era riuscito non solo a fare cose straordinarie con il pallone tra i piedi, a vincere dove mai nessuno era riuscito a vincere, a diventare da solo campione del mondo, regalando il più grande esempio di individualismo legato al calcio, era riuscito a fare tutto questo caricandosi il peso del mondo sulle spalle.

MARADONA E MESSI, SONO DIVERSI

Il murales composto da Jorit a ponticelli. In basso la scritta “dios umano”

Il grande problema di Messi è che lui non è, non vuole e non può essere Maradona. I due argentini, per quanto siano simili, per corporatura, movimenti in campo, per un sinistro sopraffino, non saranno mai la stessa persona. Dalla cintola in giù, forse, il rosarino è anche superiore a Diego, sicuramente non ha nulla da invidiargli. Ma per il resto sono agli antipodi. Il dieci azzurro, era ed è un uomo del popolo, cresciuto nelle favelas, simbolo del Boca, un uomo contro tutto e tutti, uno che ha tanto unito quanto diviso, per quanto fatto e detto fuori dal campo. Il dieci blaugrana è l’opposto. Non ha mai giocato in Argentina, che ha lasciato a soli tredici anni, per trasferirsi a Barcellona dov’è cresciuto. Non ha mai chiesto di essere un simbolo, un leader, un condottiero. Questa è la differenza che passa tra il giocatore, più forte di ogni epoca, l’unico mortale ad essere asceso al ruolo di divinità e il giocatore più forte della sua epoca. Non chiediamo a Messi di essere Maradona, non diamogli questo peso, non chiediamo ad un mortale di essere un Dio.

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