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Verona, Palermo, Udinese, Atalanta, Cagliari. Cinque giornate su tredici, quest’anno, le abbiamo gettate al vento contro le piccole. La sconfitta in casa col Chievo, il pareggio col Palermo, la sconfitta di Udine, il pareggio con rigore sbagliato al 92esimo a Bergamo e, ultima in casa, il 3-3 contro il Cagliari di Zeman.

Insomma, il Napoli non sembra essere guarito dalla sindrome delle piccole. Contro le squadre di livello la banda di Benitez si esalta, e si è visto contro la Roma, solo per fare un esempio. Ma cosa accade quando ce la giochiamo con chi, evidentemente, è a un livello più basso del nostro?

È una questione di motivazioni, di approccio alla partita, di cuore? È colpa del tecnico? Dei giocatori che prendono il match sottogamba? Del pubblico che, magari, non accompagna come nelle partite di cartello?

Alle domande non è dato avere risposta. Ciò che emerge, da questa prima parte di campionato, è un trend di continuità col passato: così come l’anno scorso, anche in questa stagione la sindrome non ha abbandonato gli azzurri. E fa rabbia. Perché è proprio lì che si vincono i tornei. È proprio nelle sfide con le provinciali che si macinano i punti decisivi per andare avanti e distanziare gli avversari.

Il Napoli di Benitez, in queste due stagioni, è apparso più come una macchina da coppe che da campionati lunghi. E la vittoria della Coppa Italia lo dimostra. Ma quest’anno la sfida per il terzo posto – obiettivo stagionale oramai massimo – sembra difficile. Sarà bene cominciare a invertire la rotta già dal prossimo match con l’Empoli. Perché, si sa, il cammino è fatto di piccoli passi. E quando gioca il Napoli non conta l’avversario che hai di fronte. Conta vincere.

Raffaele Nappi

Articolo modificato 4 Dic 2014 - 19:19

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