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Salto di qualità o salto nel vuoto?

Ok, ci siamo. Il nostro condottiero ci ha portato lì su, ci ha salutati e non si può che rispettare prima l’uomo e poi il professionista.

A quell’altezza mancavamo da un po’ e adesso, all’improvviso, restiamo soli senza la nostra guida. Non eravamo abituati e un po’ abbiamo paura. Comprensibile.

Come comprensibile è il suo addio.

In questo calcio che corre in fretta, di partite ogni tre giorni, quattro anni sono tanti, tantissimi, a Napoli ancora di più. In una piazza che non si ferma mai, che vive di calcio, essere l’allenatore del Napoli è una missione biblica, non semplicemente sportiva, ma spesso anche dalla fisionomia sociale.

Lui ha saputo prenderci per mano e ci ha insegnato a credere nei miracoli, nelle vittorie degli ultimi minuti senza arrendersi mai. Lo abbiamo amato per questo ma adesso, il nostro stato di solitudine, ci induce quasi a prendercela con lui per non averci creduto un altro po’, un altro anno solamente magari. E’ rabbia, non cattiveria quella che sentiamo esplodere. O forse è soltanto paura.

Paura perché adesso siamo lì su e non sappiamo se il prossimo vento ci farà cadere o volare, se le nostre ali saranno tali da farci guardare tutti dall’alto verso il basso o ci porteranno lentamente sulla terra dei normali, quella dove non vogliamo precipitare e ricadere.

Tornare lì, anonimamente senza successi, ci farebbe ancora più male di prima, forse sentiremmo ancora più dolore rispetto a quando morti e rinati negli inferi della serie C. Venivamo da anni incolori e i nostri occhi non avevano luce da un po’, ci eravamo abituati a non sognare più dall’addio del più grande.

Ora saltare è d’obbligo perché lui ci ha lasciati, forse, col senno di poi, capiremo che lo ha fatto (anche) per il nostro bene.

Volare o cadere? Quale futuro ci aspetta?

Antonio Manzo

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Antonio Manzo