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L’editoriale di Ivan De Vita: “Io tifo Mazzarri”

Pioli, Maran, Lucescu, Spalletti. Qualcuno ha giurato che ultimamente nella mischia ha intravisto anche Roberto Di Matteo. Insomma il luna park dei finti presagi post-Mazzarri ha spiegato le tende già da un po’. Un ronzio di nomi rumoreggia sul suo futuro, infastidendo il presente. Tutti in fila ad accendere un cero ai piedi della sua permanenza in azzurro. Intanto Walter, in ginocchio sul sagrato della verità, paga penitenza per aver espresso le sue intenzioni troppo presto. Le malelingue hanno avuto tempo per ricamare all’uncinetto critiche su misura, da fargli indossare al momento propizio.

Ad ogni dichiarazione, il “senza giacca e cappotto” livornese ha provato a districarsi dagli interrogativi giornalistici riesumando il buon Pep: Guardiola postecipava ogni decisione sul suo futuro a fine anno, perchè io non posso?, azzardava. L’ex tecnico del Barça, in realtà, aveva al guinzaglio un branco di fenomeni e un pedigree di successi come frecce del suo arco. Le sue mezze incertezze avevano la stessa risonanza mediatica delle bestemmie di Beppe Grillo. Mazzarri, ahinoi, deve fare i conti con vittorie e traguardi ogni domenica. Così, appena qualcosa si inceppa com’è ovvio che sia, i tagliatori di teste si lanciano a capofitto sulle sue perplessità.

Ed ecco rinverdire l’ipotesi del prossimo Napoli senza il suo condottiero, perchè il suo ciclo alle  falde del Vesuvio si sarebbe chiuso e lui stesso vagherebbe alla ricerca di nuovi stimoli se non addirittura di un anno sabbatico. Ma siamo sicuri ci sia questo dietro il suo temporeggiare? La massa stolta e giornalaio-dipendente sospinge il tecnico verso l’addio, trascinandolo alla porta. Possibile che nessuno si opponga a questa valanga? Io sì. Io sto con Walter.

Innanzitutto perchè i numeri sono dalla sua parte. Saranno anche boriosi e saccenti, ma sono loro a gestire il calcio moderno, dalle statistiche ai sei zeri accanto alla firma di un contratto. Nella prima stagione, chiamato in sella dopo sette giornate, colleziona un sesto posto con qualificazione all’Europa League; nel 2010-2011 riporta Napoli in Champions, era stato Diego l’ultimo a guadagnarsi l’onore; l’anno scorso delude in campionato (quinto), ma fa brillare l’immagine azzurra nell’Europa che conta e chiude l’annata col il fragoroso trionfo in Coppa Italia. Quest’anno è ancora più su, strizza l’occhio agli angeli, tenendo saldo tra le mani il timone del secondo posto malgrado la tempesta che lo circondi.

Il tutto con una rosa decisamente inferiore ad almeno tre squadre in Italia (forse quattro se aggiungiamo la Roma). Tre anni e sei sessioni di mercato per avere “doppioni” validi in ogni ruolo, con ancora tanti dubbi che si insinuano sulle scelte societarie effettuate. In questa stagione, altresì, anche vari titolari lo stanno tradendo (Maggio, De Sanctis, Pandev e Gokhan Inler su tutti). Tanti i giocatori rinvigoriti ( da Pazienza a Gamberini) o reinventati (Zuniga come esterno sinistro). Chiunque lo segue da vicino lo definisce un maniaco dei dettagli, un motivatore ed un profondo conoscitore di sistemi tattici. Capace di amalgamare un gruppo solido, capace di sopravvivere a partenze illustri come quella di Lavezzi, impermeabile nonostante la complessità della realtà napoletana. Siamo pronti ad abbandonare un allenatore di questo calibro convinti di pescare sulla piazza uno migliore?

Sono il primo a criticare tante sue scelte ed atteggiamenti. La sua testardaggine su un modulo o su un manipolo di uomini, la mancanza di imprevedibilità e l’incapacità di studiare soluzioni a seconda dell’avversario affrontato. I “titolarissimi”, marchio esistente solo a Napoli e nocivo sul resto del gruppo. Anche Bigon, parlando ieri al Corriere dello Sport circa la mancata esplosione di Fernandez in maglia azzurra, ha posto l’accento (chissà se non polemico) sui “calciatori inamovibili”. La gestione dei giovani, spesso contestata, ad onor del vero impresa ardua in una piazza così esigente. Insigne, intanto, ha la sua piena fiducia. Il talento, quello puro, non lo rispedisce in naftalina. Mazzarri avrà i suoi limiti. Ma siate sicuri che chiunque arriverebbe al suo posto, seppur con un curriculum di tutto rispetto, non sarà certo illuminato dallo Spirito Santo.

Ho una mia idea del tutto personale ed opinabilissima: Walter vuole vincere. Vuole vincere a Napoli. E’ stanco delle futili promesse del Presidente. Sono tre anni che le accetta a malincuore, dal braccio di ferro estenuante dopo la qualificazione in Champions del 2011. Decise di restare, lasciandosi abbindolare dalle rassicurazioni sugli innesti di valore. Arrivò Inler, tutto lì.  A giugno scorso ci è ricascato. Si doveva concorrere con la Juventus per lo scudetto, era l’anno giusto. La competizione è rimasta solo tra le pagine dei giornali. A conti fatti nemmeno la partenza del Pocho fu rimpiazzata degnamente e il colpo da copertina fu Valon Behrami. Mah.

Ora attende una svolta, l’inizio di un capitolo vincente. Tre o quattro pedine di platino, a maggior ragione se dopo queste nove finali riuscirà ad afferrare l’Europa dei grandi. Sa che da questo gruppo ha estratto il possibile, la spia rossa sull’erogatore lampeggia da tempo. Il suo viso imbronciato è dettato da un senso d’impotenza. Non ha perso l’entusiasmo, non ha perso il suo carisma. Vuole solo sedersi ad un tavolo e firmare per un progetto brillante. In caso contrario tutti noi dovremmo allarmarci. La partenza dello shuttle destinazione Paradiso sarà ancora rinviata a data da destinarsi. Galleggeremo eternamente privi di remi ad un soffio di vento dalla Terra dei Desideri. La corrente ci spingerà a largo, non approderemo mai. Allora voi come me, tifate Mazzarri!

 

Ivan De Vita

Riproduzione riservata

Articolo modificato 28 Mar 2013 - 18:27