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Sono un vicario di Satana e per suo conto comando le fonderie delle tentazioni. Lui governa il fuoco e le fusioni, io gestisco una delicata e antica procura. Gli ho dato la vita mia. Gli ho venduto l’anima per avere l’onore di dirmi suo adepto prediletto. Sono stato un suo fedele funzionario, eppure egli mi ha dimenticato, manco fossi un’amante da abbandonare in un vecchio bordello.

Questo, con un po’ di immaginazione, potrebbe essere lo sfogo di un anziano e navigato capomastro delle acciaierie. Scenario gulagiano, verrebbe da pensare non senza tremori. Eppure l’incauto ed esasperato esordio non è che un estratto immaginario dallo spartito di un colto e vissuto ubriacone, sulla soglia di un’osteria praghese. In alcune di esse si brinda in compagnia, tutti seduti allo stesso tavolo, un tavolone lunghissimo dove ci si sistema senza particolari criteri, ma solo perché si beve e di bere va a tutti, senza distinzioni.

Prima che l’accorto Lettore si spazientisca – egli non è facile a cadute e distrazioni – torniamo subito al nostro ubriacone immaginario e sbattiamolo fuori dall’osteria, perché è venuto a parlarci di politica, e in certi momenti, soltanto il buon vino è gradito. Tutto il resto è variabile dissacrante. Dissacrante sì, perché i confini del vecchio blocco socialista, non visti, borbottavano segreti inconfessabili, quelli che anche il calcio sovietico ha poi rivelato, non senza imbarazzo, prima che il “Blocco” granitico e solido come le prigioni siberiane, crollasse agli occhi del mondo. Pure il freddo monocromatico della “Grande Madre” Russia ha conservato storie di lunghe e gloriose opposizioni al potere, grazie alla magia del calcio, talvolta rinchiuse al buio di celle imperscrutabili nelle sconfinate terre del gelo e degli orrori, sotto coltri di ghiaccio destinato a resistere anche alle colate laviche. 

È la storia di antichi fuoriclasse, costretti ad affrontare tanto gli avversari di gioco quanto quelli, di gran lunga più insidiosi, dei regimi politici. È la storia, e non sarebbe l’unica da dover raccontare, dei fratelli Starostin.

Dopo la Rivoluzione d’ottobre e l’instaurazione della dittatura comunista in Russia, il partito unico di Stato, il celebre PCUS, sentì la necessità di iniziare a controllare tutte le attività umane dell’Unione Sovietica. Tra queste il calcio, come altre discipline sportive, giocava un ruolo notevole nelle dinamiche emotive e sociali dei cittadini russi. Ecco che, negli anni ‘Trenta, Lavrenti Beria, capo del Commissariato dell’Interno (la polizia segreta russa) divenne presidente onorario di una squadra di calcio, la Dinamo Mosca. La Dinamo era in competizione con le altre squadre di Mosca, la Cska, la Torpedo e la Lokomotiv (quella delle ferrovie). Ma la rivale più ingombrante fu fondata da Nikolaj Starostin, che insieme agli altri tre fratelli diede vita a una delle più gloriose compagini della Storia del calcio russo, la Spartak Mosca, così chiamata in onore dello schiavo Spartaco, celebre per essersi ribellato al potere dell’impero romano.

La Spartak Mosca, grazie alla bravura dei fratelli Starostin, divenuti degli idoli per le folle russe, riuscì più volte a batterela Dinamo, nonostante i tentativi di Beria diretti a condizionare gli incontri. In quegli anni la polizia segreta imprigionò scrittori, artisti, politici dissidenti, ma mai riuscì ad arrestare i fratelli Starostin, perché troppo grande era la loro popolarità. Il calcio faceva da guardia impenetrabile al carisma e alla tutela personale dei quattro calciatori russi. Solo durante il ‘Quarantadue, a causa della guerra e del preoccupante nemico Hitler, approfittando di ben altri crucci nel cuore del popolo russo, Beria riuscì a far arrestare Nikolaj Starostin e i suoi fratelli, torturandoli e processandoli, fino a una dura condanna nei Gulag sovietici, separando e rinchiudendo quei fratelli che avevano a lungo esaltato i tifosi di mezza Russia. Solo dopo la morte di Stalin, e la presa del potere di Nikita Kruscev, con la condanna a morte di Beria, considerato un traditore dalla nuova “Nomenclatura”, Nicolaj Starostin fu liberato da un’atroce prigionia. Anche se oggi i fratelli Starostin non ci sono più, lo Spartak Mosca continua ad essere la gloriosa testimonianza del calcio che, quando fu necessario, fece il calcio, fornendo a un popolo irreggimentato, un modello di libertà e opposizione. Le vicende della Spartak Mosca riecheggiano ancora oggi nella memoria dell’est europeo.

Della Russia polare resta invece una quantità smisurata di storie grandi e piccole. Mezzo pianeta conserva e tiene in vita luoghi e territori attraversati dall’umana scelleratezza accorsa per attraversare il tempo in lungo e in largo. Città segnate da strade e uomini di lungo corso, durante le notti più fredde e nebbiose, al gelo di timori mai rivelati, di segreti non ancora svelati all’umanità, segregati nelle anguste celle della Storia, attendono un disgelo che ha visto gioire gli eroi proprio grazie al calcio e alle sue mirabolanti avventure. Sono tanti gli allenatori e i calciatori che siedono in lontane e isolate locande della memoria, discreti e silenziosi, a perdersi tra la nostalgia di amori lontani e i ricordi di grandi partite. Alcuni potrebbero sembrarvi sbronzi e in preda alla disperazione. Tuttavia, se fuori sono coperti d’inferno, dentro si portano tutto il ghiaccio di estenuanti dispute tra la nevi. Il boato delle loro tifoserie s’infranse contro le pareti della violazione al diritto di diventare eroi. E sono tante le storie di uomini come loro, perduti in guerre minori e con le divise militari prive stelle, cadute nessuno sa dove, eppur con tanti meriti. La “neve nera” non è un ossimoro letterario o un trucco dei poeti, ma è il rifugio, raro a trovarsi, tra le dune innevate della steppa, laddove, insieme ai cuori dei soldati perduti, riposano pure le gesta prodigiose di calciatori mai celebrati.

Provate a trattenervi più del dovuto in una birreria di Praga o di un’altra città dell’est. Prima o poi vi entrerà qualcuno che avrà ancora negli occhi gli assist e le prodezze dei calciatori finiti nei lager nazisti, quelli dell’Ungheria di Puskas, o della grande Cecoslovacchia, oppure della Polonia degli anni ‘Settanta o i gol inimitabili dei fratelli Starostin. I loro erano i gol per la libertà, segnati con tiri dietro i quali una folla di sconosciuti ancora oggi si accoda per accompagnare in rete quei palloni reduci dai ghiacci.

sebastiano di paolo, alias elio goka

Articolo modificato 17 Ott 2011 - 18:02

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