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ADL-Sarri, la pace di compromesso è durata poco. Il mister non ci sente, ma da che parte sta la ragione?

Una stretta di mano e un punto esclamativo laddove regnavano solo incertezze. Sarri e ADL avevano mostrato il miglior lato del proprio io quel 14 ottobre, alla vigilia della delicata sfida (poi persa) con la Roma. Sorrisi, ammiccamenti e una comunione d’intenti sfociata nell’invito solenne a presenziare allo stadio. Rivolto al patron, quell’uomo che – poche settimane prima – aveva annunciato che no, al San Paolo non ci avrebbe messo più piede, tanto “le partite si vedono bene da casa”. E che poi è partito per la Cina come moderno Marco Polo. E che poi, ancora e soprattutto, ha dato l’impressione di rinunciare ad alcune posizioni per “accontentare” il mister. Per il bene del Napoli, si diceva.

Una pace di compromesso, insomma. Come un trattato stipulato al termine d’una battaglia, parola grossa per definire il rapporto Sarri-ADL, vittima di qualche incomprensione ma anche di tante speculazioni. Allontanate da una stretta di mano al termine di una conferenza stampa congiunta, il miglior modo per esorcizzare i demoni che s’aggiravano a Castel Volturno dopo la sconfitta con l’Atalanta. Sarebbe stato un idillio, più che altro è rimasta una speranza, una suggestione su cui rimuginare a tempo perso. Perché nelle successive sette partite, Roma compresa, sono arrivate ben tre sconfitte e appena otto punti. E la croce l’han dovuta portare un po’ tutti, a turno: Sarri, Gabbiadini, Insigne, Reina. Il tutto accompagnato da un malumore diffuso nelle strade di Napoli. Il progetto a lungo termine, il modulo di Sarri, la valutazione di Koulibaly: tutto è stato messo in discussione alla maniera cartesiana.

A distanza di tre settimane la pace di compromesso si è tramutata in una sorta di guerra fredda a colpi di dichiarazioni pungenti: ADL ha ricordato a Sarri di Rog, mai impiegato, ha riesumato dalla passata estate il nome di Aubameyang (sarà vero?), ha provato a dare qualche consiglio paterno a Sarri su come schierare le figurine in campo, ricordando qualche vecchia dichiarazione di Berlusconi sul modulo del Milan. E se il patron pensa che il ritorno al 4-3-1-2 possa giovare a Sarri, il “maestro” non è completamente d’accordo. “Abbiamo fatto una grande partita, la squadra si sta esprimendo meglio che in passato”: no, Sarri non sembra così aperto a un cambio di modulo. E sul mercato? Guai solo a citare l’argomento che più sta sulle gonadi al buon mister, per edulcorarne una celebre espressione. Non ama parlarne, vero. Lo farebbe durare sì e no due giorni, altrettanto vero. Un motivetto ascoltato più e più volte. Epperò Maurizio non risparmia qualche frecciatina: secondo lui la società avrebbe “scelto di non vincere”: per farlo, afferma il mister, bisognerebbe prendere campioni nati nel lontano ’87. Per carità, Sarri non è contrario alla linea verde, ma avverte: per ottenere risultati tangibili c’è bisogno di tempo e pazienza

Frecciatine, consigli e risposte negative: Sarri, alle “induzioni” di De La, resta indifferente. Da che parte sta la ragione? Da amanti della diplomazia affermiamo in maniera convinta che vi sia del buono in entrambe le filosofie. Quella di De Laurentiis, perché il capitale speso sul mercato è stato imponente e l’esordio di Rog è un azzardo da tentare al più presto. Quella di Sarri, perché Hamsik nuovamente trequartista sarebbe una soluzione improponibile e perché il 4-3-1-2 priverebbe il Napoli dei suoi punti di forza, le ali. In medio stat virtus, la ragione e il torto spettano a entrambi. Pace fatta? Chissà, magari ci attende un’altra stretta di mano davanti ai fotografi.

Vittorio Perrone
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Articolo modificato 6 Nov 2016 - 08:40

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Vittorio Perrone
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