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Higuain, un’altra vittima della metamorfosi del San Paolo. Adesso 180 minuti per ricucire o dirsi addio

Il calcio non è solo la metafora della vita, come in molti affermano, ma un vero e proprio spettacolo teatrale. Talvolta apprezzato dalla critica, altre stroncato, in altri casi così grottesco che sfugge alle logiche della comprensione. Chi paga il biglietto non è solo un mero spettatore, diventa parte integrante ed attiva giocando un ruolo non di secondo piano, anzi.

Lunedì sera al San Paolo, coloro i quali hanno deciso di far valere questo diritto decidendo di fischiare Gonzalo Higuain al suo ingresso in campo contro il Cesena si sono iscritti senza appello nel filone del grottesco.

È il minuto 65 della ripresa quando Benitez decide di far rifiatare Gabbiadini, in campo dall’inizio nell’inedita veste di punta centrale, e di lanciare in campo l’argentino dopo i tormenti di Kiev e l’incubo Boyko. Nonostante i 27 gol stagionali, nonostante il fallimento europeo sia stato figlio di un crollo totale e non di singoli, la platea di Fuorigrotta gli riserva un’accoglienza amara, colma di rancore, cieca e rabbiosa. Il Pipita è un uomo che vive di sensazioni, che assorbe ciò che gli sta intorno, che si carica con l’incitamento della folla e dimostra indolenza quando sente di non essere apprezzato. La delusione sul suo volto è palese, così come di quella parte di pubblico che l’ha sempre incitato.

Sottolineare l’ovvio serve a poco. L’ex Real Madrid è uno dei volti più vividi della cocente eliminazione contro la Dnipro; svariate sono state le occasioni in cui si è presentato da solo davanti al portiere fallendo il bersaglio, agendo non da Pipita, non da campione letale. Sono immagini che non si dissolvono facilmente, è chiaro. Ma allo stesso modo non si dissolve la sua delusione al termine della gara, al centro del campo con le mani sui fianchi e il capo chino, così come non di dissolvono le lacrime in seguito alla partita con l’Arsenal. Per quelli che lo tacciavano di poco spirito di appartenenza.

Higuain è la seconda vittima della metamorfosi del San Paolo, affetto dalla sindrome della “memoria corta” (chiedere a Marek Hamsik o Lorenzo Insigne per la spiegazione dei sintomi). I tempi sbiaditi del sostegno incondizionato hanno lasciato spazio alle bizze da pubblico legittimamente pretenzioso ma spesso sproporzionatamente esigente.

Adesso la palla passa a lui. Higuain è chiamato questa volta a raccogliere l’assist nella maniera opportuna. 180 minuti a sua disposizione per rinfrescare quelle menti che troppo in fretta dimenticano, riconquistare l’azzurro e la Champions League, per far sì che il libro sulla sua esperienza partenopea non si fermi al capitolo dei fischi contro il Cesena.

Antonio Allard (Twitter: @antonioallard1)

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Articolo modificato 20 Mag 2015 - 00:25

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