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Dai Mondiali ’90 ai giorni nostri, ieri “argentini” per Diego, oggi per stigmatizzare l’assenza delle istituzioni

Puntata particolare quella di stasera per la rubrica “Qui fu Napoli“, con l’intento di voler acuire attraverso la storia un avvenimento che ritorna in voga per motivi diversi, ma che, come sempre, tocca un nervo scoperto su cui bisogna cercare di mettere in chiaro determinati punti. Ancora oggi quando qualcuno vuole infierire sui napoletani e, in generale, sulle molteplici nefandezze che il mondo partenopeo, nostro malgrado, trasuda, si fa leva su di un evento che fece scalpore ai più, per altri invece fu semplicemente un fenomeno di costume sociale da ricondurre alla spasmodica e incondizionata fede del tifoso napoletano medio verso il suo più grande idolo. Parliamo dei mondiali del 1990 giocati in Italia, in particolare alla notte magica che vide gli azzurri allenati da Vicini sfidare proprio l’Argentina del Dio Maradona, il re che sfida la patria dei suoi adepti, uno scherzo del destino che aprì una falla all’interno della quale furono in molti a lanciarsi per ampliarla fino a farla divenire una voragine di dimensioni sproporzionate.

Ebbene, all’epoca si vivevano gli anni fervidi delle vittorie figlie delle acrobazie maradoniane, le sue perle erano indispensabili per conquistare vittorie storiche e tornei ambiti, ed era sintomatico che a qualcuno l’estasi del Re Diego fosse fatale da rimanere ipnotizzato in maniera pressoché irreparabile, è un po’ come se si chiedesse ad un innamorato di flirtare con la migliore amica della propria donna, è chiaro che se l’amore è forte ed indissolubile la persona innamorata non cadrà mai nel tranello del tradimento. Il palcoscenico dello stadio San Paolo fu poi l’ultimo tassello di uno spettacolo che sembrava stato creato “a fagiuolo” per far nascere un precedente, ed il facile assist non tardò ad arrivare, trasformando parte dei “fedelissimi” del Pibe de oro da italiani tifosi della nazionale ad italiani di fede argentina, perché il loro idolo lo era e non bisognava tradire neanche la benché minima parte che appartenesse al proprio guru. Fu così che si giocò in un ambiente surreale, ai limiti del grottesco, con la gente della stessa terra, con le stesse origini, cultura e abitudini, appoggiare una nazione che non fosse quella propria ed andare contro alla maggioranza delle persone che quella sera mantennero comunque le proprie preferenze verso l‘Italia. Le parole di Diego che incendiarono il pre-gara risuonano ancora come fossero sacre scritture: “Trovo di cattivo gusto chiedere ai napoletani di essere italiani per una sera, dopo che per 364 giorni all’anno li trattate da terroni”. 

Dal 1990 al 2014 le cose sono cambiate e di acqua sotto ai ponti ne è passata, senza che quella sensazione di gelo si attenuasse, anzi, potremmo convenire che dopo ventiquattro anni è rimasto un malcontento che ha però messo le radice in qualcosa che sfocia nel sociale, che determina la necessaria analisi verso altri siti che poco o nulla hanno a che fare con lo sport. Ieri si “tradiva” l’Italia per amore di un mito, oggi si inveisce contro la nazionale perché rappresenta quella patria austera che dimentica i suoi figli, che inala i gas rilasciati dalle falde inquinate delle proprie terre, che lascia marcire i giovani a cui non è stata in grado di fornire un’occupazione, che flagella quasi come fosse un colpo di grazia attraverso le tasse e i tributi dalle più disparate tipologie. Ma quella sera calda di inizio luglio si viveva in una città non ancora del tutto destabilizzata dalle piaghe che la trasformeranno negli anni, c’era ancora voglia di gioire incondizionatamente, il peso delle difficoltà sociali era lontano anni luce, e gli stessi compatrioti che oggi cercano di infierire per spingere alla definitiva resa nei confronti di quel senso di appartenenza sempre più latitante non erano così mistificanti, deliranti e spietati come lo sono frange di anonimi pseudo tifosi sparsi in tutta la nazione.

Attualmente è rimasta comunque in molti la simpatia verso la Terra del fuoco argentina, e non per assonanza con quella Terra dei fuochi che indigna e preoccupa gli abitanti limitrofi,  ma perché continua ad essere la principale fonte estera da cui la dirigenza azzurra sembra riuscire con estrema facilità ad attingere, e gli stessi protagonisti che arrivano in città e vestono i colori di questa maglia appaiono più inclini ad adattarsi in tempi e modi piuttosto rapidi( leggasi Fernandez e Higuain, volendo rimanere nell’ambito dell’attuale rosa). Quella partita è entrata di diritto nel costume del tifoso azzurro, sarà per sempre ricordata come la sfida della scelta, una scelta dettata dal cuore e non studiata a tavolino, dove a prevalere fu sempre e comunque l’Italia, andando anche contro Diego e la sua Argentina, nonostante qualcuno sembra voler asserire il contrario.

Oggi sono nuovamente comparse le bandiere argentine in città ed in provincia, ma prendetela come una provocazione, non come una rinnegazione della propria patria, piuttosto bisognerebbe leggere questo gesto come una protesta, un corteo, uno sciopero, perché allora quando accade uno soltanto di questi avvenimenti non si reagisce con lo stesso sdegno? Il Napoletano è più italiano di qualcun altro, è soltanto arrabbiato e solo, e quando non si sa contro chi manifestare il proprio dissenso si ripiega sui ciò che si vuol bene di più, in famiglia accade che si inveisce contro i propri genitori, ed anche in questo caso è la madre patria a pagarne le spese, e non certo perché la si odia.

Lasciamo la parola alle immagini di quella magica notte che si trasformò in dramma a causa dell’eliminazione dell’Italia:

Articolo modificato 19 Giu 2014 - 00:20

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Scritto da
redazione