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Uno spagnolo sulla panchina del Napoli? E poi un Presidente così, mezzo napoletano e mezzo romano, che parla tanto, forse troppo. Chissà come avrebbe reagito Massimo. Chissà come l’avrebbe presa.

Vent’anni sono troppo pochi per dimenticarlo. Eppure, il ricordo è ancora vivo, forte. Come l’avrebbe giudicato il Pocho? E come avrebbe reagito alla sua partenza per Parigi? E Cavani? E il tradimento del Matador?

Già m’immagino quelle battute timide e sacrosante, semplici e devastanti. Perché Massimo era così. Ed è per questo che ci manca.

Come avrebbe festeggiato la Coppa Italia? Cosa avrebbe detto di Higuain, il nuovo bomber azzurro, argentino come l’amico Maradona, cannoniere di razza e sciupafemmine di professione?

La rivalità con la Juve di Conte, il testa a testa in Coppa Italia con la Roma, l’assurdo girone Champions: la verità è che Massimo ci manca troppo. Ci mancano i suoi commenti dissacranti, la sua timidezza. Ci manca la voglia di dire le cose dritte negli occhi,  senza mettersi in mostra. Ci manca quel modo di parlare, quella semplicità unica, quel sorriso raro.

Di Massimo ci manca il suo legame all’azzurro e alla napoletanità, che l’ha reso celebre nel mondo e l’ha fatto apprezzare in casa, come riesce solo a pochi. “Sono nato in una casa con 17 persone. Ecco perché ho questo senso della comunità assai spiccato. Ecco perché quando ci sono meno di 15 persone mi colgono violenti attacchi di solitudine”. Oggi, più che mai, Massimo non è solo. E lo scudetto, un giorno, verrà a farti sorridere ancora. Così, senza farsi vedere troppo.

Raffaele Nappi

Articolo modificato 5 Giu 2014 - 18:11

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