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Il punto di Antonio Corbo: “Maradona a Napoli tra occhi lucidi, rabbia e malinconia”

Maradona esce dalla festa di Napoli con gli occhi lucidi di nostalgia e rabbia. La città dei suoi ultimi trionfi e dei primi disastri non l’ha dimenticato. Ma ha anche capito che qui non tornerà. Il Napoli è avviato verso una dimensione europea, c’è Benitez a guidarlo nel suo caparbio disegno. De Laurentiis gli dedica parole cortesi come un congedo, astratte come un’utopia, amare come un addio.

FUTURO –“Può diventare ambasciatore del Napoli che ha milioni di tifosi nel mondo”. Ma no, Diego è già ambasciatore nel mondo. Di se stesso. In 54 anni ha messo insieme tante vite e tante bandiere, l’Argentinos Junior, il Boca che ancora due anni fa sognava di allenare, la sua Argentina campione a Mexico 86, persino l’ Al Wasl che l’ha coperto di dollari e che Diego negli Emirati Arabi sperava di guidare a vita. Gli tocca girare ancora con la sua barba grigia da vecchio Marlon Brando, vendere un po’ del suo passato.

DIEGO E NAPOLI – Maradona è un’icona del calcio, del nostro tempo, della sua storia impossibile, fra vittorie e vizi, amicizie e amori sbagliati, sempre a cadere e sempre a rialzarsi, Diego, che vita. Napoli l’ha invocato spesso come presidente, quando c’era da contestare Ferlaino o Corbelli. Era la bandiera del dissenso. Nel 2005, come dirigente o allenatore, perché c’era da risollevare il Napoli precipitato in serie C. Era la speranza di un ritorno agli anni d’oro. E adesso? Napoli tifa per lui nell’ultima partita che fuori campo gli rimane: ha vinto quella con la droga ma riapre quella con il Fisco. L’uomo che ha fermato il tempo, non riesce a bloccare l’orologio delle tasse. I due scudetti, Coppa Uefa e Surpercoppa, 105 gol in sette anni lo hanno portato nel cuore di Napoli, ma solo di Napoli. Trionfi che l’Italia del calcio non gli ha perdonato, ricordate i fischi di “Roma ‘90” e quel Mondiale sfumato nella ostilità dell’Olimpico? Si capta un’altra percezione nel rapporto tra la città e il campione mai dimenticato. Il Napoli dall’incontro con Diego esce meglio, vince, non ha più il complesso di vittorie lontane, stanno tornando, e le sente vicine. Gli stessi tifosi non lo invocano perché sia lui a riportare atmosfere perdute. Lo aspettano sì, ma come un nipote, un figlio, un fratello che ha portato l’allegria del suo calcio funambolico e leale, generoso e triste, malinconico e irripetibile. Arrivò in una nuvola d’azzurro il 5 luglio 1984. Sono passati trent’anni. È l’età dei tanti Diego di Napoli. A quattro su dieci fu dato per molto tempo il nome del calciatore venuto ad annunciare scudetti, dopo quasi settanta stagioni di false promesse. Maradona è amato perché non ha mai barato né tradito. “Yo fue siempre ganador”, io ho sempre vinto, disse all’arrivo. Quasi vero.

L’ADDIO – Napoli era diventata il suo inferno, quando fuggì. Notte del 5 aprile 1991. Travolto da accuse di doping: positivo il 17 marzo dopo Napoli-Bari (1-0), perché uno dello staff dimenticò di urinare nella provetta di Diego. Più che smettere, affondò nella cocaina la sua fatica di vivere. Ma risalì lentamente con il suo infinito coraggio. Ricordava una frase nelle sue albe disperate, nella curva di via Orazio la leggeva quando tornava a casa. Stanco, confuso, sfatto. “Diego, il sole tramonta e torna ogni giorno”. La scrissero per lui, ma forse l’ha letta anche il Napoli. Si è rialzato. Diego, l’hai visto l’altra sera?

Antonio Corbo per La Repubblica

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