Mi+fido+di+te
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Anche se “io non ci sto” con l’ennesima, infima figura dei “pezzenti del pallone“, quelli disillusi da qualche vittoria lontana decenni, innamorata ancora degli idoli del passato, annebbiati da un ritorno a grandi livelli, ma che si sono riempiti la bocca con i grandi nomi dell’ennesimo mercato risolutore, che agli altri ha portato certezze, in azzurro soltanto buoni propositi e grandi aspettative, anche se ci sono queste premesse che metterebbero in ginocchio il più convinto ottimista che ci possa essere su questa terra, c’è qualcuno che mette la faccia e qualcosa in più, c’è qualcuno che parla e non a vanvera, c’è qualcuno che da un senso a tutto ciò che gli cade sulla testa, che siano palle da tennis in grado di rimbalzare via senza far male oppure un esercito di coltelli affilati come spade di samurai. E’ l’uomo scelto come timoniere di un progetto, è l’asso della manica ma anche il parafulmine in grado di indirizzare su di sé i cataclismi, capace di focalizzare l’attenzione e dare una risposta a tutto, alle sciagurate amnesie difensive, alle disarmanti prestazioni di alcuni elementi, all’inadeguatezza di alcuni uomini lanciati nella mischia in maniera forse troppo avventata, ai nervosismi e alle nevrosi venute a capo quando la piazza ha cominciato a fare rumore. Lui è lì, non crolla e non molla. Si chiama Benitez e viene da lontano, è un po’ spagnolo ed un po’ inglese, ma ha dentro di se il sapore del mondo, del calcio poliglotta, lo spirito impavido e la testardaggine di chi ne sa una più del diavolo.

Ed il diavolo proprio sabato ci dirà se Don Rafè ha portato questa squadra definitivamente al di là del muro, dove il senso della consapevolezza prende il sopravvento sulle paure, quelle solite, quelle che mettono a nudo ogni sacrosanta volta il dubbio di non essere all’altezza. Ma questo Benitez lo sa, cosi come ha saputo tirare fuori dalla sconfitta contro i giallorossi una forza estranea quando si perde, una verità al cospetto dell’ennesimo tonfo, questa volta meno amaro, che lascia spiragli di qualificazione e la certezza che questo gruppo deve calarsi ogni qualvolta in un ruolo che non riesce a mantenere per indole ma che sa fare quando vuole, ma che è costretto ad interpretare partita dopo partita, con la speranza che un giorno lo spirito vincente si appropri di questa squadra in maniera spontanea, senza sforzarsi di sentirsi superiori. Le migliori lezioni verso questa tendenza Benitez è in grado di impartirle con il suo solito atteggiamento, da saggio, cauto e uomo essenziale, che ama badare al sodo e che mastica poco il chiacchiericcio, la polemica spicciola, la replica alla critica settimanale.

Si ha proprio la sensazione di aver bisogno di un uomo come lui, perché in fondo anche questa piazza necessita di tale figura, per scrollarsi di dosso alcuni comportamenti che altri hanno lasciato alle cronache, plagiando un’esperienza che ha abituato la gente ad aggrapparsi a qualcosa pur di non ammettere di avere ancora tanto da lavorare, da imparare, da assimilare per sentirsi cresciuti davvero. Ed allora ecco perché perdere mercoledì è sembrato quasi vincere, più che una partita vincere le paure, in primis quella di non ritrovarsi più, di essersi smarriti nelle pianure nebbiose del “vorrei ma non posso“, attraverso il prodotto di una squadra che sembrava ancora una volta bollata ad “eterna incompiuta” destinata ad un lento declino in campionato, a cedere mestamente sotto i colpi delle altre compagini, brave e fortunate a camminare sulle macerie di una squadra che avrebbe ceduto moralmente sotto i colpi delle incertezze.

Ed invece è arrivato lui a far sembrare preziosa una sconfitta che ha fatto male per come è arrivata, ma che da speranza e fa sentire ottimisti per la gara verità contro il Milan, che inaugurerà una settimana da Dio sulla linea del traguardo proprio contro la Roma, questa volta al San Paolo, dove sentirà il fiato dei sessantamila, ma soprattutto la carica delle certezze azzurre, quelle venute fuori dopo le tre sberle dell’Olimpico, che non hanno stordito ma piuttosto svegliato da un torpore che s’era impadronito dei partenopei da qualche settimana gettando scoramento anche tra i supporters, gli stessi che il giorno dopo il 3-2 di Roma si sono svegliati con un sorriso, pensando positivo in vista delle due prossime gare, per il gioco espresso dagli azzurri, per i nuovi innesti, Ghoulam e Jorginho apparsi coriacei e assimilati già negli schemi, ma sostanzialmente per le parole del mister, le stesse capaci di mettere ordine e saggezza, spegnendo le polemiche, rendendo mute le solite lingue lunghe e sorde le sirene dei disfattisti, in passato sempre pronte ad affondare le barchette di carta messe in acqua senza salvagenti. Ma lui è Benitez, lui ci sa fare, e allora anche perdere ha un sapore diverso.

Articolo modificato 6 Feb 2014 - 22:39

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Scritto da
redazione