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Diritti d’immagine, pro e contro di una strategia sempre più diffusa

Tecnicamente si chiamano naked contracts: il calciatore firma con la società X e si spoglia dei diritti d’immagine cedendoli al datore di lavoro. Dal sorriso di Meazza, testimonial pionieristico di un dentifricio, ai 21 milioni di dollari che Messi e Cristiano Ronaldo percepiscono dagli sponsor, il passo è stato così grande che questo fattore è divenuto dirimente nelle trattative di mercato, anche per i vantaggi fiscali che ne derivano. In Italia De Laurentiis è l’unico che ha imposto, sul modello della Formula 1, la regola per cui qualsiasi tesserato del Napoli deve cedere alla società i diritti d’immagine. Anche grazie a questo, e quindi alla moltiplicazione delle opportunità commerciali, il fatturato azzurro è cresciuto fino ai 151 milioni del 2011-12.

Il produttore un anno e mezzo fa, nella prima riunione per il rinnovo della convenzione promo-pubblicitaria con l’Aic, minacciò la serrata dei club pretendendo di mettere nero su bianco la cessione automatica dei diritti d’immagine dai calciatori alle società di Serie A. Il sindacato replicò: così nessun campione verrebbe a giocare in Italia. Anche la Liga ci ha provato senza successo e proprio in Spagna il Real, nel 2000, varò la clausola Figo cominciando a trattenere la metà degli introiti pubblicitari delle sue stelle. Comunque, De Laurentiis non è solo: in Bundesliga è prassi, Manchester Utd e Arsenal fanno altrettanto. Certo, le società che lasciano questo business ai calciatori hanno un vantaggio al tavolo delle trattative ma l’opzione De Laurentiis è una della strade per ampliare il giro d’affari e cercare l’autosufficienza.

Fonte: La Gazzetta dello Sport

Articolo modificato 22 Lug 2013 - 12:01

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Scritto da
redazione