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Ogni umanità è un azzardo, simile a un lancio di dadi improvvisato, sempre diversa, sempre incline a farsi beffe di ogni definizione ultima, della sentenza che marchia. I marchi sono per le bestie; per l’uomo invece vige la regola della complessità e della trasformazione, l’idea superiore dell’incomprensibilità profonda del dire e dell’agire.

Questo vale per la moltitudine, per quelli che la vita ci pone accanto o ci fa incontrare come passanti, ombre che spariscono in una strada e ci lasciano nel cuore un quesito affamato:” Chi era quest’uomo che ho incrociato? Dove andrà, abbiamo forse stabilito un legame”?

Questo non vale invece per quegli uomini, pochissimi per la verità, che hanno per sanzione divina la prigionia felice dell’identità precisa. La quasi totalità degli esseri a una domanda innocua, del genere “Chi è Lei, come si definirebbe”?, sbianca come una foto venuta male, catapultata in un abisso di irregolarità e storture. Sempre cangianti noi normali dell’esistenza, perché in fondo riteniamo giusto sottrarci all’identità precisa, così da sfuggire all’occhio che spia, alla definizione che definisce e “finisce”.

C’è un calciatore, unico nel suo genere, che sovverte come una clessidra manomessa questo assunto; si chiama Cavani, e gioca, per capriccio celeste, nella città che maggiormente soffre della patologia della mancanza identitaria.

Chi è Cavani, è possibile tracciarne un ritratto?
Se mi avessero offerto altri ritratti avrei risposto di no, che la definizione non l’avrei potuta avere, che non ero un alchimista in vena di ampolle. Ma su Edinson posso e voglio dire.

Cavani ha una forma precisa, un tratto marcato, un cuore che non subisce variazioni. E’ la regolarità dello straordinario, la semplicità della potenza, è il diritto e il rovescio che sa arrivare alla sintesi. Possiede il talismano della fede, e come tutti coloro che hanno vera fede vede davanti a sè solo rettilinei, non indugia agli incroci, non spende il suo tempo a scambiare parole che hanno la consistenza del niente.

Il suo volto, quando parla, è sempre contratto. Per lui la parola è verità, e va pesata, misurata, testata prima di darla agli altri. Le sue risposte non sono mai leggere, hanno del ferro nella struttura, colpiscono per la loro sintesi contenutistica. La sua sicurezza morale gli evita la trappola del giudizio e lo apre alla ragione degli altri.

E’ divorato dalla passione per ciò che fa. Ad ogni gol si lascia andare come un bimbo, esultando all’inverosimile, trasmettendo così il valore del gesto, la fatica che c’è dietro, la sapienza del lavoro che ripaga.
Non è un esteta, ma nemmeno un uomo pratico. E’ di altra specie: è ciò che gli orientali e gli abitanti dell’Asia minore chiamavano saggio.

Trasmette calore nel suo movimento, educa alla giusta visione delle cose. Cavani ha anche nella fisicità (primo metro di giudizio per l’uomo qualunque) la sembianza dell’individuo naturale, non alterato, in comunione con la terra, il vento e il sole.

Forse davvero parla con il suo Dio, forse dorme sulla nuda terra, avrà visto i primi uomini terrorizzati davanti al fuoco e alle belve. Qualcosa di magico gli è appartenuto, ha un qualche potere che i calcoli non sanno portare alla luce. Non so per cosa esattamente, ma lo ammiro.

Carlo Lettera
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