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Da un’occhiata data alle fotografie di repertorio, James Spensley sembra averla, la faccia da romanzo di Hemingway, col pizzetto curato e folto, sotto un mento nascosto a fare da fondo alle mille smorfie che avranno affollato il campionario di un uomo predisposto a molte percorsi, di quelli con la bussola dell’ovunque incorporata, al posto della scatola vuota e pesante che si fa spazio tra l’operosità e gli entusiasmi.

Il pallone ha origini lontane, e quello che si vede oggi è la metafora meticcia venuta su grazie alle navigazioni. Sembrerà strano – magari Melville ne sarebbe contento – ma il calcio è figlio del mare. Nel suo libro Football fin de siecle e dintorni, Aldo Padovano racconta come l’importazione del calcio sia avvenuta via mare, con lo sbarco, presso le coste italiane, del gioco della palla escogitato alla maniera inglese. E pure l’incontro, di inizio secolo (il Novecento) tra la tradizione europea del soccer e la ribelle interpretazione artistica sudamericana, in particolar modo uruguayana, ha originato la formula pallonara universale.

Nel via vai generale tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, tale James Richardson Spensley, sbarca in Italia, a Genova, nel 1896. Nato dalla famiglia di un pastore evangelico inglese, James si laurea in medicina e, dopo una collaborazione ospedaliera, s’imbarca nelle navi carboniere per fornire assistenza medica ai marinai.

Fisico asciutto, alto, portamento elegante e cervello finissimo, Spensley adora il calcio e ogni altra cosa lo metta in contatto col prossimo. E da subito la sua vita è fatta d’azione essenziale e laconica, netta ed efficace, vestita di quella raffinatezza che diventa parte naturale di un uomo che conosce il Sanscrito, il Greco antico e l’Egiziano antico. Spensley comprende il geroglifico, è viaggiatore, medico, marinaio e sportivo. È studioso di teosofia, una particolare disciplina della filosofia, di argomenti esotici e di ogni altro luogo che ispiri le più nobili curiosità umane. James, corrispondente del “Daily Mail”, non vota l’anima soltanto alla teoria, ma presto apre i suoi sconfinati orizzonti pure sulla Penisola, agendo come filantropo e avendo un ruolo determinante per la nascita del calcio in Italia.

In quegli anni, il calcio ha una funzione politica, soprattutto rivolta alla naturale costruzione di un osservatorio sulle mescolanze, sulla fusione culturale dei popoli, dovuta sia ai traffici commerciali che ai processi di colonizzazione. Cambiano i vocabolari, cambiano i modi di chiamare le città, e la rivisitazione storica viene sostituita dalla costruzione storica. Lo stesso Spensley diventa presto una figura tipica del panorama d’epoca, non a caso immagine di quell’asse marittimo che gli inglesi avevano fortemente voluto con la città di Genova, passando per la nuova Torino, città in forte via di sviluppo, ma alla quale mancava il mare.

Prima dell’arrivo del medico inglese, la Genova del calcio gioca le sue partite su un campo preso in prestito agli scozzesi, contro squadre improvvisate di marinai e ginnasti dell’Andrea Doria. L’arrivo di James diventa il momento di organizzazione, che gli procura presto la fascia di capitano proprio del Genoa, nella quale sa fare un po’ tutto, prediligendo il ruolo di portiere. Spensley, nel 1898, organizza pure la prima importante partita del calcio italiano, disputata tra il Genoa e l’Internazionale Torino, conclusasi con la vittoria dei piemontesi.

Bardi, Ghigliotto, Bertollo, Bocciardo, Pasteur, sono alcuni dei calciatori che con Spensley danno vita alle prime dinamiche di competizione della storia del pallone italiano. Il lavoro di Spensley sarà importante anche per la storia della fondazione dell’attuale FIGC.

James, dalle cronache dell’epoca, viene descritto come un uomo di grande statura fisica, che nonostante la stazza, riesce a muoversi con agilità ed efficacia, giocando molto bene a calcio e distinguendosi per carisma e personalità, oltre che per notevole eleganza. Ma Spensley non è solo il medico marinaio e calciatore che contribuisce a rivoluzionare lo sport italiano e internazionale. Il suo impegno va oltre i dettami dei ruoli e delle competenze. Una volta, passeggiando con Vittorio Pozzo per Genova nel quartiere dei Carruggi, nella città vecchia, James divide due ragazzini che stanno litigando, e rivolgendosi a quello che aveva avuto la meglio gli dice: “Non colpire un uomo quando è a terra”, chiedendo a Pozzo di tradurre. È rimasto negli annali anche l’aneddoto che lo vede protagonista durante la partita che regala al Genova il suo primo scudetto della storia. In quella partita James gioca prima da difensore, e poi da portiere, prendendo il posto tra i pali del compagno infortunatosi durante l’incontro.

Dopo essere diventato arbitro, e dopo aver fondato una sezione italiana scout in seguito all’incontro con Baden-Powell, James Spensley si arruola come ufficiale medico dell’esercito inglese. Fatto prigioniero durante la prima guerra mondiale, viene rinchiuso nella fortezza di Magonza, in Germania, dove, nel 1915, vive i suoi ultimi giorni di vita, perduta inesorabilmente in seguito a gravi ferimenti riportati durante la cattura. Il suo corpo non viene più ritrovato, e, quando la fortezza di Magonza viene distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, si pensa che le spoglie di James siano per sempre rimaste sepolte sotto le macerie della prigionia e della storia. Ma, quasi cento anni dopo, nel 1993, due tifosi genoani, Mario Riggio e Franco Savelli, scoprono la tomba di un militare medico della prima mondiale, a Kassel, in Germania, nel cimitero militare di Niederzwehren. È la tomba di James Spensley.

Al medico, marinaio, calciatore, scout, arbitro, soldato e studioso, James Spensley, sono state dedicate numerose iniziative sportive e accademiche, riconoscendo al personaggio il merito di aver fornito alla storia del calcio e dello sport nuovi modelli di formazione. Oggi, rispetto alla necessità di rivedere il funzionamento del calcio moderno, intorno alla critica sulle sue dinamiche ispirate al sistema di potere, potrebbe tornare utile proprio il pensiero di Spensley, citato durante un Simposio sull’estetica del gioco, tenutosi a Genova nel dicembre del dicembre del 2012.

James Spensley, più di un secolo fa, ha affermato: “Il pericolo, per noi moderni, sta nella tendenza a considerare tutte le teorie degli altri tempi come assolutamente prive di valore e nel ritenere valevoli solo le nostre. Noi ci consideriamo come quelli che per primi raggiunsero nuovi ed originali punti di vista, ma ‘nihil sub sole novum’, dice il vecchio adagio, senza dimenticare la critica di Mefistofele, secondo cui nulla si può pensare di diritto o di torto, che pensato non abbia il mondo antico”.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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redazione