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Due settimane di attesa. Due settimane di ansiolitici: camomilla, xanax, maalox, alcool o altro. Ad ognuno il suo. Due settimane di notti insonni, di allusioni da bar su infortuni inventati ed espulsioni volute,  ben alimentate da giornalisti avvoltoi. Due settimane di preoccupazioni su ritardi di aerei o, peggio, su aerei persi. Due settimane a sfracellarci il fegato ripensando a Pechino e a gongolarci con amarcord nostalgici. Due settimane a calmarci gli animi dicendoci che non è la sfida della vita, dello scudetto o della morte. Ma anche a gasarci con la consapevolezza che non andremo lì a fare  figure di merda come l’anno scorso.

Queste, più o meno, le due settimane prima di Juventus-Napoli.

Il giorno prima della partita un tipo al supermercato chiede al fruttivendolo: “Mi ubriaco stasera o domani sera?”. Non capisco, ma poi intuisco che il fruttivendolo tifa Juve e prima di sentire la risposta mi dico che in quel supermercato non ci torno più. Nonostante le ottime offerte sui formaggi. 

La sera prima della partita abbiamo stemperato l’attesa tra una birra e l’altra e cincischiato su partite vecchie, esultanze smodate, goal improbabili, trasferte anni ’80, tifosi dell’ultima ora e ultras  moderni senza coraggio.

Il giorno della partita ci siamo svegliati con la tensione sul volto, ma anche con la voglia di fare una bella partita, come si ama dire, al di là del risultato.

Un’ora prima della partita eravamo già collegati col campo, fuori dal campo, dentro al campo, negli spogliatoi, fuori all’albergo, sugli spalti.

E in particolare eravamo collegati con un rappresentante del gruppo in missione a Torino. Di chilometri, però, ne ha fatti pochi. Piemontese, nato in Piemonte, vive in Piemonte, lavora in Piemonte, ha la ragazza in Piemonte. E tifa Napoli. Inesorabilmente Napoli. Indiscutibilmente Napoli. E odia la Juventus. Inesorabilmente la Juventus. Indiscutibilmente la Juventus. Stavolta la partita ce l’ha praticamente in casa. Perché lui i chilometri se li fa, ma per vedere quelle al San Paolo. E’ senza biglietto. Non è riuscito a trovarlo. Nonostante le prestazioni da Mennea per arrivare prima di tutti. Ma lo sentiamo la sera prima e dice di voler andare lo stesso. Proverà ad entrare. Forse il suo accento per niente partenopeo lo aiuterà. Forse lo steward penserà di aiutare  il tifo bianconero ad avere un sostenitore in più. O forse è entrato nel settore ospiti addirittura. Si, è così. Proverà nel settore ospiti. Un piemontese coi napoletani. Azzurro tra gli azzurri. E allora avrà avuto bene in vista la sciarpa per non essere scambiato per un infiltrato.

Insomma, uno dei nostri era lì che cercava di entrare e noi l’abbiamo sostenuto da lontano. Ogni passaggio, un messaggio. Il primo controllo è andato. Il secondo pure. Ora manca un terzo e il tornello. Poi il silenzio. E le congetture. L’hanno arrestato. Sta contrattando. Sta già cantando e s’è dimenticato di noi. Troppe connessioni e il telefono non prende più. S’è incastrato nel tornello. E il consiglio: “Male che vada, va’ a vederla al Napoli Club Torino”. Ce lo siamo quasi coccolato.

E poi il messaggio che tutti aspettavamo. “Sono dentro”. Ecco. Vada come vada la partita, noi abbiamo un eroe.

In effetti, la partita è andata com’è andata. Una partita da zero a zero. Che a noi andava bene e a loro stretto. E allora il primo che ha sbagliato, ha subìto goal. E siamo stati noi. Non mi lascerò trasportare da commenti tecnici di cui forse non sono in grado, né emotivi perché, come ben sapete, quelli li lascio alla curva e ve li racconto solo da lì.

Ma oggi volevo raccontarvi altro. Volevo raccontarvi di uno stadio di Torino, quello della Juventus, in cui campeggiavano striscioni e stendardi di qualsiasi zona del sud che vi venga in mente: Andria, San Vito dei Normanni, Anzio, Nettuno, Pozzuoli, Tricase, e via dicendo.  Oggi volevo raccontarvi di uno stadio di Torino, quello della Juventus, in cui il ritornello è sempre lo stesso: “Vesuvio lavali col fuoco”. Non riuscendo a capire che il nostro gigante buono lo fa già ogni giorno, perché noi il fuoco ce l’abbiamo dentro. Oggi volevo raccontarvi di uno stadio di Torino, quello della Juventus, violato da un piemontese con la passione del Napoli. E non pensate ad uno pagnottista, diventato tifoso azzurro ai tempi di Maradona. No. Un ragazzo. Lui Maradona non l’ha neanche visto giocare. Quando Maradona ci faceva vincere il secondo scudetto, lui imparava a stento a camminare. Oggi volevo raccontarvi di una passione che contagia e di un eroe che si è fatto contagiare.

Al suo ritorno dallo Juventus Stadium ci ha scritto: “Dicono che NOI napoletani….”

Ecco. Oggi volevo raccontarvi questo. Tutto il resto sono solo parole.

Articolo modificato 21 Ott 2012 - 12:17

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Scritto da
redazione