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Il terzo posto era lì. A portata di mano. Di piede. Di palo. Ma a noi le cose facili non ci piacciono. E allora mi tocca raccontarvi di due partite. Una vinta 2-0. Un’altra persa 2-0. Mi tocca raccontarvi di due classifiche. Una che ci vede al terzo posto. Un’altra che ci inchioda al quarto. Mi tocca raccontarvi di due emozioni. Una di gioia infinita, l’altra di amarezza inconsolabile. E allora ve lo racconto così. Come mi viene. Considerando che, adesso, la seconda prevale sulla prima.

La sera prima abbiamo tifato Milan e Palermo. Con i primi ci è andata bene, con i secondi ci siamo dovuti accontentare. Un  punto solo per un Udinese in evidente calo e zero per una Roma che a dirla tutta non gioca malissimo.

E questa domenica per noi è strana. Dormiamo un’ora in meno e giochiamo con il sole. E’ stato difficile anche ricordarsi l’ora in cui si parte per andare allo stadio. Ormai eravamo tutti collaudati sugli orari serali e con il tramonto. E allora a mezzogiorno ci sembrava già tardi. E’ stata anche una domenica cominciata male. Mi avvio allo stadio con il pensiero ad un campione andato via mentre faceva quello che amava: giocare a pallavolo. Dico addio a Vigor Bovolenta, uno di quei campioni che mi ha spinto verso un  meraviglioso sport di squadra e vado allo stadio pensando di aver fatto prestissimo.

E invece, traffico già in tangenziale. Ma non siamo gli unici ad aver calcolato male. Il nostro tragitto parcheggioaicampetti-stadio è caratterizzato da una serie di telefonate con il resto del gruppo per capire se eravamo in ritardo oppure no. Siamo stati i primi entrare entusiasti, gli ultimi ad uscire delusi.

Niente fila ai cancelli, steward svogliata che fa finta di guardare nello zainetto, un tornello con la fila e uno vuoto in cui m’infilo sentendomi la tifosa più furba del mondo. Sento che la curva è piena e quindi voglio andare veloce per tenere i posti un po’ a tutti. La sensazione si rivela giusta, ma lo spicchio nostro è vuoto, sembra quasi lasciato apposta.

Abbiamo gli occhiali da sole, la manica corta, i capelli legati. Fa caldo, il cielo è azzurro e siamo belli carichi per questi tre punti importantissimi. Almeno noi. I nostri arrivano alla spicciolata, alcuni li sollecitiamo, altri li perdoniamo perché vengono direttamente da lavoro. Lo stadio è pieno. Dimostrazione ancora una volta di passione forte e di voglia di vincere. Almeno noi.

Poi la partita. Anzi, le partite. E tutt’e due nel secondo tempo.

E non è facile ricordare ciò che ho visto e sentito.

Ricordo i fratelli Molitierno davanti a noi – fratellini con maglia grigia del Napoli e nome stampato sul retro -, ricordo la guest star per l’occasione della domenica – panino con parmigiana di melanzane-, ricordo uno smalto azzurro su dita maschili, una frittata di maccheroni sotto il naso di chi sta a dieta da troppo tempo e la notizia sconvolgente di una dei nostri che non c’è perché è col fidanzato juventino. Ripeto: juventino.

Ricordo un Dossena  preso di mira dai troppi tifosi della domenica, è il caso di dirlo, e poi non lo ricordo più nel secondo tempo. Ricordo un Fernandez finalmente al centro della difesa con personalità e qualità e poi non lo ricordo più nel secondo tempo. Crampi e sostituzione inaspettata. Ricordo un Pandev che ha cambiato la partita e un Campagnaro che ha voluto ricambiarla, continuando a non saltare sui corner avversari. Ricordo un De Sanctis che non esce mai dai pali e poi in un’occasione in particolare mi ha ricordato perché non esce mai da pali.

Ma ricordo anche un gran goal di “Smaili”, ancora definito dall’amico polemico e oggi anche pessimista, un giocatore dello Stabia – come se lo Stabia non fosse in grado anche lei di segnarci di testa su calcio d’angolo!- Ricordo pure un palo, la palla che torna a Cavani, un altro palo e la palla che entra dentro. Abbracci, urla, baci, il terzo posto e il sole. Poi un altro palo, questa volta di Pandev. Un goal che avrebbe meritato.

E ancora ricordo una bambina che riferendosi al San Paolo ha esclamato “Uah, ma è grandissimo!”, ricordo un pazzo che dice che se la finale di Coppa Italia dovesse essere a Milano non ci andrebbe, ricordo uno del gruppo che si è chiamato tutti e due i goal del Catania e un altro che avrebbe voluto massacrarlo di parolacce. Ma con affetto. Ricordo il risultato della Lazio cambiato all’87°,  le bestemmie, i calci ai sediolini, il quarto posto e la pioggia.

Ricordo due partite. Una vinta 2-0 e una persa 2-0. Due classifiche, due emozioni. Una di gioia infinita  e l’altra di un’amarezza inconsolabile. Allora ve le ho raccontate così, come mi è venuto. Considerato che la seconda ha prevalso sulla prima.

Cavani a fine partita ci rivela una segreto infelice: “Forse non c’era la voglia di vincere”.

E questo, invece, è meglio non ricordarlo.

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Scritto da
redazione