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Walter Mazzarri si è raccontato al Corriere dello Sport svelando il suo futuro e la voglia di vincere.

Bentornato a Mazzarri, il «grande» antipatico.
«So bene che non godo della fama di simpatico, ma di questo poi parleremo. Però, scusi, da dove sarei  tornato?».

3-1 a Palermo, prestazione sontuosa: siete riemersi  dalla normalità….
«Ah certo, normalità sarebbe quello che ha fatto il  Napoli sino ad  oggi? Io lo trovo eccezionale. Eravamo in zona retrocessione, quando arrivai: ora siamo nella scia delle grandi, negli ottavi di Champions».

Diciamoci tutto, stavolta: antipatico….
«Perché sono vero,  uno uscito dal bronx non riesce a fingere, mai. Io sono stato trasparente sin dalla giovinezza e sono rimasto tale e quale».

E poi: presuntuoso….
«Perché so. Ho consapevolezza dei miei mezzi, della mia conoscenza,  della mia cultura calcistica. E quando non so, studio: ripresi a scrivere a macchina per stendere belle relazioni; poi ho imparato l’inglese, perché serve sempre.»

E ancora: permaloso….
«Con chi pensa di offendere  la mia intelligenza, non in assoluto. Guai se uno ha l’idea malsana di volermi  fregare, di fare il furbo: io sono frontale».

Parliamo di calcio,  anzi di Mazzarri allenatore.
«E’ il garante della giustizia. I  calciatori lo sanno: sono il loro scudo, perché loro sono i protagonisti. Lavoro per dare ai ragazzi le giuste indicazioni, gli input dei quali hanno bisogno. Ognuno è un mio figlio adottivo, ma in generale privilegio i rapporti con chiunque all’interno dello spogliatoio: perché la parola gruppo è spesso abusata, ma ha un suo valore  intrinseco».

Parliamo di risultati: con il Napoli.
«Siamo in continua crescita e quando sento dire che, paradossalmente, saremmo stati un pochino deludenti in campionato, mi ci arrabbio. Ma voi pensate che un club vada giudicato per la sua posizione in classifica e non per ciò che ha offerto nel corso della stagione? Mettiamo pure che abbiamo qualche punto in meno, ma cosa e chi decide che dovremmo essere primi, secondi o terzi?».

Infatti:  dove dovreste essere?
«Ragiono applicando teorie personali: siamo da due anni tra le grandi, essere lì è il premio per una maturazione complessiva, non  una eredità del passato. Il Milan, la Juventus, l’Inter hanno l’abitudine a  lottare per il vertice, noi no. Il Milan, la Juventus, l’Inter,  ma  anche la Roma e la Lazio hanno un monte-ingaggi che fa la differenza. E’ quello che determina il valore d’una squadra, non quanto spendi per acquistare un  calciatore».

Riassumiamo: va bene così la stagione?
«Nel suo complesso, benissimo. Aspettiamo la sfida con il Chelsea, in campionato siamo nella scia dell’establishment, abbiamo valorizzato calciatori, abbiamo un  futuro. Poi, vabbé, io sono incontentabile e la prima cosa che ho detto ai  ragazzi, vinta la gara di Palermo, è stata: nel primo tempo abbiamo concesso  troppo».

Andiamo per gradi: a chi va lo scudetto?
«Io penso che il Milan abbia qualche possibilità in più della Juventus, per una serie di  motivi. Credo anche nell’Inter. Però – alla fine e alla lunga – la spunta il  Milan».

Il suo preferito è…
«Guardiola. E se qualcuno pensa  che allenare il Barcellona sia un vantaggio, ha capito ben poco. Ha solo da  perderci, poverino, e invece trionfa sempre, giocando un calcio da brividi. E  poi è una bella persona. A me piace in ogni suo atteggiamento. In Italia, invece, mi piacciono molto Allegri e Conte, che si stanno giocando alla  grande le chanches loro concesse».

E Mourinho le garba?
«Non  scherziamo: stiamo parlando di un fenomeno. L’uomo ha capacità di gestione delle  situazioni, direi ambientali e mediatiche, fuori dal comune. Ne ho enorme considerazione».

Il suo modello di riferimento?
«Non mi è mai  piaciuto rifarmi a qualcuno, ma per quanto mi riguarda, devo un grazie a Renzo  Ulivieri, che mi ha offerto una possibilità. Ai suoi tempi era innovatore,  geniale, colto, maniaco».

Lei è ossessivo e ossessionato?
«Non gusto le vittorie, perché cinque minuti dopo la fine della partita  sono già proiettato sulla sfida successiva. Io mi consumo: smetterò presto,  prima di quanto si pensi».

Sembra una confessione alla Agassi: odio  il mio mondo…
«Non arrivò a ciò, ma a certe finzioni sono allergico.  Non alleno la stampa, non so essere ruffiano, diversamente non saprei essere, non sarei Mazzarri. Sono onesto intellettualmente; poi ci sta di sbagliare, ma la buona fede è sempre fatta salva».

Siamo in tema di rivelazioni: si dà  il tempo di vincere lo scudetto?
«Ne ho vinti tanti di scudetti, facendo coincidere risultati con bilanci, da Acireale, la prima squadra salvata, al  Napoli, con il quale sono andato in Champions, c’è dell’altro: la salvezza con la Reggina a meno undici ma partendo da meno quindici, l’Europa e la finale di  Coppa Italia con la Samp. E mai un esonero. Crede sia poco?».

Dica  un’altra verità: dopo le turbolenze della passata estate, quest’anno si sentiva  più a rischio che in passato?
«L’ho sospettato, è vero. Poteva bastare qualche risultato negativo per rinfocolare le tensioni di nove mesi fa. Ma se  siamo qua, vuol dire che siamo stati tutti bravi, me compreso….».

Perdoni la domanda: ci resterà ancora?
«Ho un contratto fino  al 2013 ed intendo rispettarlo».

E a Napoli l’humus per lo scudetto esiste?
«Esiste eccome, però in tempi ragionevoli. Ma se lei s’aspetta che le  dica: lo vinciamo quest’anno, è fuori strada. Qui si può costruire su quanto è  già stato edificato in questi sette anni e soprattutto negli ultimi due. Basta  poco. E quindi, avendo poteri ampi, si può fare».

Cos’è il Napoli dei  miracoli?
«E’ una squadra che ha un gioco, una identità e anche  un’anima. Pandev, a Palermo, ha espresso un concetto meravigliosamente  gratificante: come si lavora qui non si lavora da nessuna parte. E lui ha  conquistato il triplete con l’Inter. E’ vero, non lasciamo niente al caso,  abbiamo la massima attenzione su qualsiasi particolare che può sembrare  irrilevante e che invece può divenire determinante. Le partite si decidono  talvolta con un episodio».

Si racconta che con Cavani, alla vigilia  della gara con il Genoa, ci sia stato un colloquio chiarificatore….
«Non avevamo niente da chiarire ma tra uomini si parla. Non c’erano attriti, però avevamo il  bisogno di confrontarci. Che poi abbia segnato al Genoa e anche a Palermo, mah,  forse è un caso».

A proposito, come mai i presidenti delle «altre»  star non l’hanno cercata?
«Intanto, qualche messaggio in passato è  arrivato. Ma è vero, sono rigoroso: rispetto i ruoli e chiedo di essere  ricambiato. Di tattica non discuto, però ascolto e spiego. Faccio l’allenatore  perché mi piace e per cercare di garantire risultati al mio club. Fino ad oggi  ci sono riuscito».

Quando le dicono che gioca in contropiede  s’infuria….
«Il Napoli osa, attacca, segna, ha una manovra offensiva  che parte da dietro, uno studio dei particolari. Non mi offende l’etichetta ma  la visione deformata della realtà, la falsità».

A proposito, è  l’allenatore più pagato d’Italia…
«Mica conosco la dichiarazione dei  redditi degli altri. E poi a me interessa produrre redditi, valorizzare i miei  giocatori.  Un tecnico deve avere tra le proprie corde una  vocazione da manager, deve guadagnare per quanto produce, come un qualsiasi  manager di azienda. Ecco perché Ferguson rappresenta un’icona calcistica».

Non c’è mai niente di casuale in ciò che fa, vero o falso?
«Verissimo. Analizzo qualsiasi aspetto, poi intervengo: pure nella  preparazione delle partite, oppure nelle irruzioni del post-gara. Ho un metodo  di ragionamento, provo a prevedere le situazioni».

Lo  stratega-Mazzarri…
«Se le piace… Ma è per il titolo?».

Fonte: Corriere dello Sport

Articolo modificato 10 Gen 2012 - 09:40

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Scritto da
redazione