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Non è stato scontato che si andasse a Torino a vedere l’ultima di campionato. Non era scontato che ci andassimo con entrambi i piedi in Champions e non era neanche scontato che andassimo a giocare contro una Juve ridotta in quello stato. E inizialmente non ci ha fatto piacere sapere di giocare con le seconde e le terze linee. Ma, credetemi, proprio tutto questo ha dato ancora più senso alla nostra ultima trasferta dell’anno.

Si parte il giorno prima perché, come sempre, le partite da vedere fuori casa sono scelte anche in base agli amici da salutare e, avendo vissuto un anno a Torino e avendo lì un’amica che lavora, AhiLei! ma BuonPerNoi! per la società bianconera, andare fin lassù era quasi d’obbligo.

Torino si presenta con tricolori ovunque. Negozi, balconi, finestre, piazze, strade. Il primo nostro pensiero va al campionato di calcio. La Juve è ben lontana dal primo posto, ma forse non avranno voluto deludere il buon Quagliarella ed hanno fatto in modo di farglielo vedere comunque il tricolore. Ma è un’ipotesi poco probabile. Ci facciamo due conti e non ci pare che giochi la Nazionale quest’anno. Poi capiamo. L’Unità d’Italia. Festeggiano. Ogni week end ci sono manifestazioni a ricordarlo. Ma noi siamo qui per la partita e il nostro unico colore di appartenenza è l’azzurro.

Non tornavo a Torino da sei anni. E’ più bella. Metropolitana ultimata e funzionante, piazze sgombre da lavori che qui sarebbero stati interminabili, sole e caldo, tanti giovani in giro. Ma il nostro primo appuntamento sabato pomeriggio sono nell’ordine: un’amica da riabbracciare, una pastiera e delle mozzarelle su richiesta da consegnare e dei biglietti di tribuna da mettere in borsa. Già, in borsa. Fino a quando ne ho avuta una. Ma questa è un’altra storia.

Non tornavo a Torino da sei anni. 2005. Per chi conosce qualcosa di calcio, sa che quell’anno è stato, per una tifosa del Napoli a Torino,  a dir poco funesto. Scudetto ai gobbi con una giornata d’anticipo e play-off di serie C persi con l’Avellino per gli azzurri. Ho dovuto subire i caroselli bianconeri sotto casa e seguire il crollo del Napoli al televideo. Ho dovuto tenermi pacche sulla spalla e commenti di commiserazione da chi quello scudetto, si è scoperto in seguito, non l’avrebbe meritato. Dovevo tornare a Torino. E questo mi è sembrato l’anno giusto. Il Napoli è terzo, la Juve arranca per un posticino in Europa che neanche con congiunzioni astrali di stelle inesistenti sarebbe riuscita ad ottenere. Noi il mercoledì abbiamo un appuntamento con la Champions, loro potranno prenderne uno con gli amici per andare al cinema a prezzo ridotto. Per noi biglietto in tribuna, omaggio della Società. Maiello a centrocampo, Cribari in difesa, Lucarelli in attacco. Una vendetta così dolce non l’avrei potuta immaginare.

Tralasciando il sabato sera, volato tra un aperitivo, due chiacchiere in ricordo di bei tempi, una denuncia in Questura per il furto delle mia borsa, un faccia a faccia con un poliziotto  della tipologia “meridionale che stigmatizza i meridionali”, la peggior specie, la conta dei danni materiali, ma soprattutto di quelli affettivi, come tutti i miei abbonamenti del Napoli degli ultimi -guarda caso- sei anni o il biglietto Liverpool-Napoli, la preoccupazione di non riuscire ad entrare il giorno dopo perché tra i danni materiali ci sono i biglietti per la partita (!), un poliziotto di Scampia che mi tranquillizza con un cenno della testa facendomi intendere che lui sarà lì domani e non devo preoccuparmi…insomma, dicevo, tralasciando il sabato sera che mi ha sbattuto in faccia la parte brutta di qualsiasi città, arriva il gran giorno. Il giorno del riscatto.

Domenica mattina si fa un giro in centro. Si pranza fuori. Per puro caso nel menù leggiamo “friarielli, pastiera e babà”. Bene. Intuiamo che la conduzione non dev’essere proprio savoiarda DOC. A confermarcelo la foto di Totò per gli uomini e di Tina Pica per le donne nella toilette. Chiunque sia il proprietario, però, deve darci una spiegazione di quella foto di Quagliarella firmata e appesa all’ingresso. A fine pranzo conosciamo Antonio, il cameriere di Pianura, tifoso del Napoli, che al suo secondo giorni di lavoro si vede entrare il traditore. Ci racconta che avrebbe voluto dirgli qualche parolina al veleno, che ovviamente non ha potuto, ma che ha trovato un modo di vendicarsi degno di Tyler Durden in Fight Club. Per fortuna noi non abbiamo nulla da farci perdonare.

Salutiamo al grido di Forza Napoli. Tutto questo ci fa entrare già nel clima.

Ore 19:30, appuntamento con la mitica Federica che è riuscita a farci riavere i biglietti; ore 20:15 siamo dentro. Devo essere sincera, arrivare in uno stadio con tanti juventini intorno non è una sensazione piacevole. Ti fa sentire terribilmente fuori luogo, ma poi visualizzi la classifica e tutto passa. Anzi diventa divertente dire a tutti che sei lì per il Napoli. Il settore ospiti è quasi pieno, azzurro ovunque, tanti cartelli ironici, cori d’incitamento per gli azzurri che coprono quelli delle curve bianconere. Entrano le squadre per il riscaldamento. Da un lato vedo la Juve, dall’altro…dunque, dall’altro…stento a riconoscere la nostra formazione. Fuori quasi tutti. Un abbonato chiede al vicino “Ma Lavezzi è quello lì?Gioca?”. E io, che non vedevo l’ora di dirlo, mi giro e informo il malcapitato “No, è in panchina. Come quasi tutti. Sa’, oggi si riposano un po’ ”. Dentro di me aggiungo “Tanto per noi è come se fosse un’amichevole!”.

Mi rendo conto che anch’io stento a riconoscere i nuovi volti titolari. Poi mi ricordo che tra le cose materiali in borsa c’erano anche gli occhiali da vista. Andrò per intuizione. Anzi, forse meglio non averli quando in campo c’è Cribari.

La partita comincia. Il Napoli gioca a memoria come se non fosse cambiato nulla. Maiello mi fa gridare un “Ma cos’è?!!” su un cross improbabile, mani in testa e ghigno beffardo sulla traversa, ovviamente su punizione, di Del Piero, tenerezza per i commenti intorno su Toni “Ma quell’uomo è tutto scoordinato!”. A Napoli saremmo stati sicuramente più coloriti, ma evito di dirglielo. Non infierisco. Lo faccio sul goal di Maggio. Un’esultanza che toglie ogni dubbio a chi mi sta accanto, una ragazzina con tanto di sciarpa bianconera che continuava a guardarmi ad ogni mio “Uah!” o “Marò!” o “Iamm’ Gargan’!”. Esulto, mi risiedo, chiedo scusa, rido dentro e sorrido fuori.

Chiudere il primo tempo in vantaggio con una squadra così inedita ha ripagato già delle otto ore viaggio e del furto della borsa. Ma ascoltare intorno a noi commenti del tipo “Non hanno niente da vincere, perché si accaniscono tanto?!” oppure “La loro riserva adesso è Lavezzi!” o ancora  al colpo di tacco del Pocho per Zuniga “Questi sono venuti a fare i pagliacci?A prenderci in giro?”. Ascoltare tutto questo nella loro tribuna ha reso tutto il week end indimenticabile.

Sapete com’è andata a finire. Un pareggio, grazie ad un pallone regalato a Matri. In mezzo tanto Napoli con voglia di Champions, tanto cuore di chi ha giocato poco quest’anno e la testa di Lucarelli che ha dimostrato a tutti cos’è la professionalità.

E in mezzo anche tanti cori. Solito incitamento al Vesuvio a lavarci col fuoco, ingenui nel pensare che il vulcano voglia distruggere ciò che ha creato a sua immagine e somiglianza, cioè col fuoco dentro.

Dai tifosi azzurri non manca invece  l’ironia. Un invito ai bianconeri a tornare al vecchio e vero spirito dello sport: “Juventino, non ti arrabbiare!L’importante è partecipare!”.

Loro rispondono con “Noi non siamo napoletani!”. Beh!Forse l’anno prossimo vi converrebbe. Ma per fortuna lo siamo noi.

Lasciamo lo stadio felici, con un pareggio come una vittoria, incrociando sguardi delusi dall’altro lato, con una squadra che nell’ultimo giro di campo in casa si becca applausi forzati, fischi e qualche “Vaffa” di contestazione. Mentre gli ospiti cantano “Oi vita, Oi vita mia!”.

Insomma. Dal 2005 ne è passata di acqua sotto i ponti. Un po’ di soddisfazioni nel frattempo me le sono tolte. L’ultima, all’uscita dallo stadio. Indicare il varco per i voli internazionali solo ai tifosi del Napoli.

Si chiude così un campionato strepitoso. E abbiamo già la testa al prossimo. Con gli stessi compagni di viaggio, stessa curva, stessi riti scaramantici con i chicchirichì, stessa voglia di emozioni, abbracci, lacrime e vittorie. Ma soprattutto con la stessa certezza di sempre: “Io lo so perché non resto a casa!”.

Sempre Forza Napoli!

Articolo modificato 24 Mag 2011 - 02:19

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Scritto da
redazione