Il calcio italiano vive un periodo di profonda crisi. Sono anni che si studiano e propongono soluzioni, quando invece il problema è più semplice del previsto e andrebbe risolto partendo dalle basi: dai vivai, anzitutto. A questo proposito vi proponiamo la lettera scritta lo scorso primo dicembre da Simone Tiribocchi, ex attaccante tra le altre di Atalanta e Torino, che ai taccuini di Toronews ha parlato, senza filtri, del perché il sistema dei vivai italiani non funziona più da tempo. Con una emblematica frase che non può non far riflettere: “C’è chi paga per allenare, chi invece sa e sta zitto”.
LA LETTERA:
“Mio figlio ha cinque anni, l’anno prossimo lo vorrei portare in qualche scuola calcio per iniziare. Sinceramente l’unico motivo per cui vorrei che facesse questo mestiere è per i benefici economici, ma se penso al calcio di oggi, per il bene che gli voglio sarebbe meglio stesse alla larga da questo ambiente.
Io ho fatto questa vita e non ci sputo sopra, ma o sei uno che ha due palle grandi così ed è disposto a mandare giù merda o se invece sei un bambino timido, un po’ chiuso… meglio evitare. Sono pochi i vivai che lavorano bene in Italia. Da quattro anni vivo nel mondo delle giovanili, vedo come si comportano e vedo l’Italia calcistica com’è messa. Dopo la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali sento tutti che parlano: “bisogna fare questo, cambiare quello, le riforme…”.
Anch’io penso che ci sia tantissimo da fare, ma non è solo un discorso economico. In Italia mancano le idee e la passione, perché c’è sempre stato il soldo e il soldo ti leva la passione, perché è più facile spendere piuttosto che impegnarsi sul serio. Qui non ci sono idee perché non siamo umili come Paese, abbiamo inventato tutto noi, siamo i più bravi. Siamo nati per giocare a calcio, di questo sono convinto, l’Italia vive di calcio. Ma manca la voglia di insegnare da parte degli allenatori. Adesso si cerca il giocatore già completo con la speranza che si faccia da solo. Una volta c’erano i giocatori in pensione che si prodigavano con i bambini, oggigiorno invece le società per risparmiare prende allenatori che lo fanno per hobby o come secondo lavoro e fanno fare ai ragazzi quello che avrebbero voluto sognato nella loro vita. Se di giorno stai in ufficio e la sera vai al campo con mille pensieri per la testa, pur con tutta la passione del mondo, non sarà mai come qualcuno che ha vissuto il calcio da professionista, sa cosa significano le rinunce e i sacrifici e li trasmette ai ragazzi. Bisogna riscoprire queste figure, come i Vatta e gli Ellena del Torino. Io metterei gli allenatori più bravi con i più piccoli, dove hanno modo di influire di più sulla crescita. I calciatori in Italia ci saranno sempre, il disastro sono i dirigenti e gli allenatori dei settori giovanili.
Tanti allenatori delle giovanili scaricano i filmati da internet per pianificare gli allenamenti, senza sapere se quell’esercizio abbia senso per la propria squadra. Chiedono ai ragazzi di ragionare non individualmente, ma di reparto, cosa che fino agli Allievi è imbarazzante, non ha senso. Le posture, le frenate, la tecnica e la tattica individuale invece non si insegnano più nella maggior parte dei casi; quando si punta ai fondamentali, invece, poi si raccolgono i frutti. Io ho visto come lavorano a Bergamo e non puoi dire “guarda che culo l’Atalanta che ha dei giovani forti”. No, lì si fanno le cose in un certo modo, poi ogni anno vendono un giocatore da 20 milioni e gli altri stanno a guardare. Oggi il salto tra Primavera e squadre senior è immenso. Il motivo è che si pensa al risultato e non alla crescita dei ragazzi. Se un allenatore del vivaio pensa solo a vincere, sacrifica il singolo. Con questa mentalità, se hai un fantasista coi piedi buoni, ma alto 1,50, lo tieni fuori e lo bruci. In settimana non puoi allenare dei bambini in funzione della partita, altrimenti quando arrivano in prima squadra sono già finiti mentalmente, esauriti. Perché a quell’età hanno la scuola, le ragazzette, le serate con gli amici. Se gli aggiungi il pensiero che se sbaglia in campo i compagni perdono per colpa sua, quando arriva in uno spogliatoio con i grandi si caga sotto. Sono i giocatori che devono usare l’allenatore per imparare, non viceversa.
L’Italia non crea più campioni, per cui quei pochi che abbiamo è giusto che vadano all’estero, tipo Verratti. Gioca al Psg, ma è un patrimonio del calcio italiano e se la Serie A non è più bella perché nelle squadre devi parlare inglese e di campioni non ce ne sono, è giusto che se ne vada a giocare fuori.
Rimedi se ne possono trovare: limitare il numero di stranieri, per esempio. Un tempo i giovani andavano a farsi le ossa in Serie C, adesso in C ci sono quelli che una volta giocavano in B, in B ci sono quelli che giocavano in A e in Serie A ci sono un po’ tutti. Non vogliamo limitare gli stranieri nelle prime squadre? Ok, ci sto, allora togliamoli dai settori giovanili. La Serie C potrebbe diventare un bel serbatoio per far crescere i giovani che escono dalla Primavera, con la creazione delle seconde squadre. Però senza stranieri, se no siamo da capo. Basta un direttore sportivo un po’ spregiudicato, fa comunella con un procuratore, vanno in Nigeria, prendono dieci ragazzi, li fanno giocare in C e dopo un anno magari uno di loro esplode e loro ci fanno una super plusvalenza. I soldi si trovano. Vendi un giocatore da 20 milioni? Il 20% lo destini al settore giovanile, obbligatoriamente. Devi credere in quello che fai. Non puoi pensare “metto in panchina Tiribocchi e tra un anno ho 30 giocatori pronti”. Non funziona così, sono progetti lunghi, bisogna avere pazienza, crederci, resistere alle tentazioni di chi dice “non investire nelle giovanili, uso quel milione di euro per comprarti un brasiliano”.
Articolo modificato 8 Mar 2022 - 14:28 14:28