Il Maradona letterario di De Giovanni: “Un ragazzino della periferia più povera scaraventato in cima al mondo e circondato da persone senza scrupoli”

Come sa fare solo uno che delle parole ha fatto la sua arte, Maurizio De Giovanni, scrittore, sceneggiatore e drammaturgo napoletano, ha accarezzato la memoria di Diego Armando Maradona, che lui stesso definisce “Un santo patrono laico della città di Napoli”. Nel ricordo della sua straordinaria genialità, del suo legame totalizzante con Napoli e con il Napoli, e della sua umanità spesso schiacciata da pareri senza scrupoli, De Giovanni si è raccontato ai nostri microfoni per omaggiare “l’eterno bambino che giocava a pallone”:

Se la vita di Diego dovesse avere un titolo, quale sarebbe?
“Infinita”. Anzi, più che “La vita” , io direi “Le vite di Diego”, perché credo che nessuno abbia vissuto in soli sessant’anni così tante esistenze, una intrecciata e sovrapposta all’altra. Come tutte le leggende, come tutte le vite epiche, riserva talmente tanti aspetti e tante facce che è un prisma la vita di Diego: bisogna vedere dove ci si colloca e dove si vuole leggere. Credo che sia stato forse il più grande eroe del nostro tempo.

Cosa rende così speciale il legame tra Diego e il suo popolo?
Il popolo di Diego era un popolo che si riconosceva in un modo irregolare di arrivare alla vittoria. Maradona era tutt’altro che un atleta. Noi siamo testimoni, al giorno d’oggi, di tanta attenzione alla propria immagine, al proprio corpo, alla propria dieta, da parte dei campioni. Maradona, invece, giocava a pallone. Non era un atleta che praticava lo sport con la massima attenzione: era un bambino che quando vedeva rotolare una palla giocava con quella palla e questo credo che lo renda veramente unico nel panorama mondiale.

In questi giorni ne abbiamo sentite tante, ancor di più rispetto a quando Diego era ancora tra noi. Come mai, a differenza di quanto succede normalmente con i grandi artisti, non si riesce, nel caso di Diego, a scindere l’uomo dal calciatore?
Perché si compie un errore gravissimo: si contrappone l’uomo al calciatore quando in realtà l’uomo e il calciatore sono la stessa cosa. I suoi eccessi, le sue amicizie e le sue inimicizie erano tutto un’estensione di un’istintività personale che la rendeva il grande campione che era. Lui era con i bambini, con i leader politici, con la famiglia, con gli amici esattamente come era sul campo: era un uomo senza diaframmi, senza pareti. Questo lo rendeva grandissimo.

Secondo lei è colpa dell’eccessivo perbenismo se anche oggi chi ha una dipendenza viene visto come un carnefice e non come una vittima?
Ancora adesso leggiamo una marea di idiozie, per esempio che Maradona fosse dopato. Maradona non si è mai dopato: il doping è qualcosa da prendere per migliorare le proprie prestazione; quello che prendeva Diego invece limitava le proprie prestazioni, era il contrario del doping. Lui non ha mai alterato le proprie prestazioni per migliorarle, anzi, lui ha giocato così nonostante le proprie dipendenze. Le dipendenze sono una situazione privata pesantissima che lui ha sempre subito, e per la quale ha pagato fino all’ultimo. Definire Maradona un drogato, oggi, è come definire Van Gogh un pazzo o Caravaggio un assassino.


Come si spiega, in parole, il tormento interiore che ha accompagnato Diego per anni?
Diego era un ragazzino di un barrio di Buenos Aires, era nato e cresciuto nella periferia povera di una delle capitali del Sud del mondo, in una delle città più povere, e non ha mai smesso di esserlo. Se prendi un ragazzino da quel contesto e lo scaraventi sulla cima del mondo, avendo a che fare con gente senza scrupoli, è logico che crei la dipendenza. Creare una dipendenza in Maradona era utile a chi lo circondava, chi lo ha circondato per la maggior parte della vita fatti salvi pochi amici sinceri che oggi piangono per la sua assenza e non per la fine di una fonte di reddito.

Come spiega il Diego politico di Fidel, del Papa e delle Falkland?
Diego viveva istintivamente anche il contatto con una certa leadership. Con il Papa, con Fidel o con situazioni come la Falkland, lui ha vissuto di pancia. Quando parliamo di populismo, dobbiamo anche ricordare che il populismo coinvolge tutti quelli che comprendono soltanto il sentimento, l’emozione, e che non hanno gli strumenti culturali per determinate analisi politiche approfondite. Maradona era un uomo del popolo, lo è rimasto sempre. Era di facile accesso per quelle che erano le idee politiche di grana grossa, quelle più forti e che maggiormente colpiscono gli istinti.


Qual è la cosa più vera detta su Maradona e quale la più falsa?
Sicuramente quella più falsa era ritenerlo soltanto un drogato vittima di una dipendenza. Lui era un uomo profondo, molto dolce, sincero, generosissimo e gentile. Le dipendenze le ha pagate e scontate. La cosa più vera è che lui era un bambino che giocava a pallone, perché è rimasto tale fino alla fine.


Cabrini ha detto che forse l’ambiente Juve lo avrebbe ovattato: secondo lei sarebbe davvero potuto esistere un Diego bianconero o era davvero l’antitesi di quel mondo?
Io credo che lui fosse la persona meno adatta a militare in quella squadra e in quel contesto. Sicuramente sarebbe stato insofferente e infelice in una situazione di controllo, perché Diego sfuggiva al controllo, era il contrario del controllo. Il motivo per cui andò via da Barcellona era questo: la Juventus era assimilabile al Barcellona per l’epoca, e io credo che lui sarebbe andato via sbattendo la porta. Credo che lui abbia trovato a Napoli, anche in amicizie e contesti sbagliati, una situazione affine a lui. Maradona non era un soggetto facilmente irreggimentabile o controllabile, è vano il discorso. È come dire che se noi fossimo nati nel Seicento avremmo avuto molte più cognizioni della gente di allora, non ha senso.


Come commenta le parole di Mughini e Cruciani?
È così semplice cercare di catalizzare l’attenzione dicendo cose fuori dal coro. Se le pensano, problemi loro. È una cosa meschina e parziale che non fa onore a chi la dice. Lo dico senza acredine: Cruciani non lo conosco, nemmeno ci tengo; Mughini è un uomo di cultura, spero che il suo pensiero sia stato parziale e travisato.


Abbiamo lanciato un appello al Comune di Napoli sulla salvaguardia di tutti i cimeli che i tifosi hanno portato allo stadio, per sorvegliarli e creare un’area apposita. Come vedrebbe un museo di Maradona a Fuorigrotta?
Io spero che un giorno esisterà un museo del Napoli, perché ci sono delle raccolte bellissime. Mi dispiace molto che l’attuale società del Napoli abbia un po’ l’abitudine a prendere le distanze dalla storia del Napoli, invece il Napoli la storia ce l’ha ed è una storia grande.


E sul chiamare lo stadio Diego Armando Maradona?
Io dedicherei a Diego lo stadio, l’aeroporto, il porto! Maradona è quello che ha insegnato a questa città a essere vincente. È un santo patrono laico di questa città e lo stadio il suo tempio, non vedo nessun motivo per non dedicarglielo.

A cura di Alessandra Santoro

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