Di padre in figlio

Per una legge non scritta, quanto più sarà amato qualcosa, tanti più saranno i detrattori. Il calcio, sport tanto controverso quanto divinizzato, non poteva sfuggire a questo modus operandi. Da sempre i profani del calcio provano a screditarlo cercando di convincere noi adepti che quello spirito mistico che ci tiene incollati col pensiero 7 giorni su 7, sia in realtà solo un gioco. Convincerli del contrario è stato finora un tentativo vano poiché, forse, ci si è sempre appellati alla sola parola.

Stavolta a parlare ci pensa una fotografia, o meglio un’emozione immortalata. Il luogo è lo stadio San Paolo, la città e Napoli, sono le 23 circa del 18 aprile 2018 e i protagonisti sono un padre e un figlio. Semplice, no? I due si guardano, si scambiano gli spiriti con la forza dei loro occhi, raggiungono un’intesa che solo quell’istante, solo quel frangente, solo quel movente riescono a toccare. Urlano, gioiscono all’unisono, stretti in un solo cuore, 30 anni fa come oggi.

Non è uno sguardo, è un insegnamento, quasi come se in quel contatto visivo ci fossero ore di racconti e anni di ricordi. Il padre avrà in mente le immagini di una Napoli passata e mai sepolta, tinta d’azzurro e impreziosita dal tricolore portato sul petto da un ragazzo argentino che tutti chiamano Dio. È una Napoli storica, unica e irripetibile. Fino a oggi.

Tutto questo in due pupille che ne incontrano altre due simili ma che brillano di una luce nuova e che riflettono quella del passato rendendola più nitida. Negli occhi dei bambini si possono vedere le espressioni di stupore, meraviglia, speranza e incanto che i loro genitori avevano all’età dei figli. Ed è in questo scambio reciproco di ricordo e nuova speranza che si completa un cerchio sui generis. Di padre in figlio, ecco che si tramanda l’amore azzurro. Perché in fondo, a volte non servono troppe parole, bastano gli occhi. Guardare, guardarsi e sognare tenendoli aperti.

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