Introduzione “Squadre B”, pro e contro di una decisione che può rivoluzionare il calcio italiano

Il calcio italiano è sempre più in declino. I nostri club non riescono più a dire la loro in ambito europeo come è sempre accaduto fino a 6-7 anni fa, e il fatto che in questa stagione nessuna formazione nostrana sia riuscita ad approdare ai quarti di finale di Champions o Europa League deve far riflettere. I campioni guardano alla Serie A come ad un campionato di passaggio o, nel migliore dei casi, per rilanciare una carriera in difficoltà. Forse peggio ancora sta messa la Nazionale sprofondata al 15esimo posto del ranking FIFA, scavalcata da Nazionali storicamente inferiori come Belgio (addirittura seconda nel ranking), Austria, Ecuador, Turchia o Svizzera; e tallonata dalle cosiddette Nazionali emergenti come Messico, Ungheria, Romania e Bosnia Erzegovina.

Insomma, l’Italia non è più al top dal punto di vista calcistico. Eppure la storia è piena di esempi di modelli prima caduti ma che poi, con il tempo, hanno saputo rimettere in sesto l’intero movimento. Ebbene basta seguire questi esempi: stadi nuovi ed efficienti, creare nuove forme di introiti per non dipendere dai soli diritti TV e una nuova riforma dei campionati che tenga particolare attenzione ai settori giovanili. E proprio su questo ultimo aspetto potrebbe presto esserci un’importante novità. È di oggi infatti la notizia che il presidente della Lega Pro, Gabriele Gravina, ha clamorosamente aperto all’introduzione delle seconde squadre dei maggiori club di Serie A, in un campionato professionistico come quello della Lega Pro, con la conseguente scomparsa del Campionato Primavera (LEGGI QUI la notizia completa).

Benevento-curva

Chiariamo subito un concetto: questo passo andava fatto. I campionati più importanti adottano tutti il sistema delle seconde squadre. Il Campionato Primavera è infatti una vetrina importante per i giovani, ma il livello di competitività è davvero troppo basso. Chi è attento alle vicende di quanto succede in Primavera sa che ci sono troppe gare che terminano con punteggi tennistici, o addirittura con 10 gol di scarto, che demarcano come la differenza tra le formazioni più forti e quelle più deboli sia troppo ampia. Altre formazioni invece, approfittando di una formula che non prevede retrocessioni, possono permettersi di “non avere particolari motivazioni“. Inoltre in questi anni ci è capitano fin troppo spesso di vedere calciatori che sembravano di un livello più alto rispetto alla norma, ma che poi quando chiamati a confrontarsi in un campionato professionistico hanno fatto emergere limiti considerevoli. Nicolao, Celiento, Anastasio, Romano, Prezioso e Tutino, per restare in ambiente Napoli, sono solo alcuni dei giocatori che negli ultimi anni hanno incantato in Primavera e che poi hanno fatto, o fanno, tremenda fatica per trovare spazio in Lega Pro.

PERCHÉ SI – Ecco perché testare il reale valore dei giovani calciatori italiani in un torneo professionistico può essere un enorme vantaggio. Altro punto a favore da non sottovalutare potrebbero essere i diritti TV che potrebbero portare benefici all’intero sistema della Lega Pro, che ad oggi invece non percepisce quasi nulla da questo punto di vista. Già, perché le giovanili, soprattutto quelle delle formazioni più importanti, tirano eccome. Basti pensare che mediamente una partita Primavera di Inter, Milan, Juve, Roma o Napoli, attira oltre 100 mila spettatori. Numeri enormi se li confrontiamo con quelli di alcune partite di Serie A dove gli spettatori che hanno seguito i match sono stati inferiori ai 20 mila (come ad esempio Udinese-Verona della 27° giornata vista da soli 18.590 spettatori). E il dato può essere ancora incrementato se pensiamo che in Lega Pro militano club dal passato glorioso e che hanno un seguito maggiore rispetto a quello di molti altri di Serie A e B: Lecce, Foggia, Reggiana, Pisa, Piacenza e Benevento sono solo alcuni esempi.

COSA VA RIVISTO – Ma se da un lato ci sono aspetti chiaramente positivi di questa riforma, altri sembrano convincere decisamente poco: come ad esempio il fatto che le seconde squadre non possano essere né promosse e né retrocesse. Questo non permetterà mai ad un club di portare i propri giovani in Serie B, se non cedendoli in prestito ad una terza squadra. Senza retrocessioni, invece, i giovani non impareranno il senso della responsabilità e a dare il 100% per raggiungere l’obiettivo salvezza lottando fino allo stremo delle forze. Per questo stesso motivo le stesse società potrebbero scegliere di non investire particolari risorse nelle Squadre B.

Insomma la scelta di creare le seconde squadre è giusta, ma le modalità di inserimento delle stesse nei campionati professionistici vanno assolutamente riviste.

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Pasquale Giacometti

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