Passo dopo passo, il mantra di Valdifiori per un presente in azzurro da riconquistare. La grinta del regista e quelle parole dopo Napoli-Verona…

Una continua conquista, tanti piccoli passi, fino al traguardo agognato. Il racconto della carriera di Mirko Valdifiori è proprio questo, una marcia cadenzata ma progressiva, dalle giovanili del Cesena fino all’esordio in prima squadra. La scorza, dura, del calciatore di provincia modellata in Lombardia, tra Pavia e Legnano, nell’allora C1, per poi trovare l’habitat in cui tutto sarebbe cambiato: Empoli. Piccoli, tanti, passi, nella piana del Valdarno, 255 presenze, una colonna della società, nove stagioni a disegnare calcio. Regista a modo suo, con i suoi tempi e i suoi modi, crescendo con costanza, acquisendo esperienza. Fino all’esplosione, definitiva, da direttore di un’orchestra perfetta nell’eseguire note e ritmo tratteggiati dal maestro Maurizio Sarri, conquistando la Nazionale.

Sarri e Valdifiori, connubio pregno di soddisfazioni in terra toscana e trasferitosi in blocco alle pendici del Vesuvio. Prima il regista, va detto, poi il tecnico. Un pallino per il produttore De Laurentiis, regalare al suo Napoli un uomo dai ciak intensi e precisi. Un’estate da imprescindibile, con l’ombra di una condizione a rilento per predispozione fino all’esordio in maglia partenopea. Sassuolo, Sampdoria ed Empoli, tre passi falsi a condire una falsa partenza, le difficoltà dell’uomo al cospetto del punto di arrivo che si uniscono a quelle di un gruppo ancora bisognoso di rodaggio, equilibri. Quadratura che non sarebbe mancata a lungo, arriva al San Paolo il Club Brugge, va in scena un Napoli diverso: 4-3-3, squadra più corta, compatta, ermetismo difensivo figlio di tre reparti che si muovono, adesso, in sincrono. A giostrare da perno e riferimento davanti alla difesa, stavolta, è però Jorginho, rinvigorito dalla cura Sarri, ritornato ai livelli di Verona, persino superati e perpretrati con continuità nell’arco di un percorso in campionato che ha incantato tifosi ed addetti ai lavori.

Un boccone amaro, ingurgitato alle porte del paradiso, ma affrontato con il piglio di chi la gavetta l’ha vissuta fino in fondo; di chi ogni metro del proprio successo l’ha guadagnato con abnegazione, voglia di migliorarsi, sacrificio. Una piazza importante, raggiunta a ventinove anni, va conquistata fino in fondo, ed ecco la nuova veste da uomo di coppa: cinque presenze in Europa League, una in Coppa Italia, mostrando crescente brillantezza, sciorinando le sue doti, del tutto dissimili da quelle del compagno/rivale italo-brasiliano. Due assist in Europa da piazzato ma non solo, è il numero sei partenopeo a prendere per mano, gara dopo gara, la mediana del gruppo che nei gironi ha scritto la storia del club e della competizione. La verità nei numeri e nelle prestazioni, gamba più fluida e mente più svelta, con campo finalmente aperto alle sue intuizioni, ai cambi di gioco pennellati, ai corridoi scorti in verticale. Urge il responso in fase di non possesso, dove Jorginho al momento garantisce maggiori garanzie da frangiflutti, per chilometri percorsi e palloni recuperati, ma l’ex Empoli è ormai pronto, lo ribadisce nel dopo gara contro l’Hellas ai microfoni di SpazioNapoli: “La mia condizione? Sto bene, all’inizio ho sofferto in un Napoli diverso da quello di adesso, il cambio modulo ha agevolato tutto, io lavoro con serenità e voglia di fare bene. L’allenatore deciderà quando sarò pronto anche per il campionato o altro”. Nessun risentimento da scorgere nelle parole del numero sei di Lugo di Romagna, la stima di dirigenza e tecnico non è mai stata in discussione. Fiducia nei propri mezzi e grinta sì, tanta, voglia di recuperare il percorso perduto e vivere un 2016 da protagonista. Lo voci di mercato uno spiffero insignificante, Palermo e Firenze mai state più lontane. Gli occhi pieni di Napoli ed uno sguardo, ancora non del tutto abbandonato, a Euro 2016.

Edoardo Brancaccio

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