Il doppio volto azzurro e la legge del campo: Napoli, riparti da ‘provinciale’!

È una vita fatta d’altalene, quella del Napoli. E Bologna, con il suo carico di frustrazioni, non sfugge alla legge più spietata di tutte: quella del campo. Che spesso dà, ma certi giorni toglie. Nel mezzo, fa sognare, e arrabbiare, e sperare. A fine partita, il sentimento comune si è sintonizzato sulla frequenza della delusione: perché l’ultimo quarto d’ora ha cambiato tutto, e allora è cambiata anche la prospettiva con cui si costruisce un ipotetico futuro. Un po’ ridando certezze, un po’ rendendo più amaro il tutto. In fondo, in una giornata di doppi volti, non poteva mica mancare il rovescio della medaglia.

DICOTOMIE – Due sono le lunghezze di distanza dall’Inter, due sono le perle di Higuain. E due sono pure gli atteggiamenti messi in campo dal Napoli. Che in una partita di dicotomie – Diawara contro Jorginho, la più palese – ha perso opportunità e duelli. Perché è la mediana a fare la differenza nel gelo emiliano: prima ingolfata dall’asfissiante pressione bolognese, poi anche abbandonata dal dovuto rifornimento delle mezzali. Hamsik ed Allan risultano efficaci solo nelle poche volte in cui si allargano, lasciando i due esterni bassi rossoblù in balia di una dicotomia, appunto: andare a chiudere o pensare agli attaccanti? Sarri già al decimo era stato profeta, chiedendo intensità e velocità, oltre a più lavoro sui rispettivi outs. Si è ritrovato con un pugno di frenesia.

DA PRIMI – Se la calma è la virtù dei forti, l’ansia è propria di chi ha timore. E anche in quest’ottica va analizzato il campionato degli azzurri: formidabili quando c’era da inseguire, più impacciati ora che si sarebbe dovuto dettare l’andamento. Certo, fosse entrato quel gol di Callejon, probabilmente staremmo parlando di altro. E se non ci fossero state le indecisioni dei centrali (e di Reina), verosimilmente la storia avrebbe preso la migliore tra le pieghe possibili. Invece niente: è il Bologna a fare il Napoli. Accorciando con fare attento, agendo sugli esterni. E poi dando qualità alla manovra, aggredendo forsennatamente le seconde palle. Scaricando dentro per un Destro in versione Pipita. Quindi restando umile, affamata, incazzata. Da provinciale. Che non è una brutta parola, semmai il contrario: perché significa lottare su ogni pallone, su ogni campo, contro qualsiasi avversario. Al Dall’Ara tutto questo è mancato, soprattutto nei primi quarantacinque minuti.

OPERAIA – Chiariamo: non è stato un Napoli presuntuoso. Perché con Sarri si corre difficilmente questo rischio. E non è stata neanche la classica questione della “partita sottovalutata”. Banalmente, il match ha avuto una matrice “murphiana“: se qualcosa poteva andare storto, non ha esitato a farlo. La legge è legge. E non sfugge neanche al calcio, sebbene non sia una scienza esatta. Si può solo rispettare, magari raggirare. Meglio ancora se con qualcosa che di legale ha poco. Eccolo, Higuain. Venuto fuori a suonare la carica. Come l’ha fatto? Proprio restando umile, affamato e incazzato. Come il Napoli visto da quel quindici settembre in poi. Come i felsinei quest’oggi. Come il nueve argentino, capace di trasformare due mezze occasioni in concreta speranza. Perché se per trionfare c’è anche bisogno di fortuna, talvolta occorre pure crearsela. Da operai, sì. Pronti ad alzare la testa solo a prodotto finito, senza guardarsi indietro. Anche perché domenica ce n’è un’altra, di sorte. Tutta ancora da costruire. E l’unica legge che vorrà Sarri – potete scommetterci – sarà quella della vittoria. Con tanti, e poco cari, saluti al dottor Murphy.

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Cristiano Corbo

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