(bianco) Nero a metà

Sono oltre tre settimane ormai che Napoli sembra una pellicola sbiadita dei Fratelli Lumière. Bianco e nero. A tratti più bianco, a tratti più nero. Il 2015 ha voluto presentarsi così: un trailer saporito ed un improvviso retrogusto amaro.

Bianconera la sfida in Supercoppa, divenuta biancoazzurra dopo una serie di interminabili capovolgimenti. Ma quella luce forte che abbagliava il nuovo anno ha dovuto inchinarsi quasi subito al cinismo del fato. La devastante perdita di un artista come Pino Daniele: “Nero a metà” fino a domenica notte, per poi riempire l’altra con tutto il dolore della sua città. In seguito la serata bicolore di Cesena ha provato, invano, a ritagliare un foro nelle bandiere a mezz’asta. Troppo piccolo per regnare in un profondo spaesamento.

Domenica sera tocca ancora alla Juventus chiudere questo cerchio quanto meno beffardo. Sì perchè, al di là di regolamenti stravolti e discriminazioni assolte, non c’è tifoseria che meglio sappia rispecchiare l’anti-napoletanità ormai colpevolmente diffusa. Ogni domenica, a Torino come in trasferta, i cori intonati a favore del Vesuvio praticamente non fanno più breccia nel calderone mediatico. Ma esistono, scavano, addolorano. Perchè deturpano ed annichiliscono quella “Terra mia” già tanto martoriata che il bluesman ha voluto estorcere agli stereotipi e sventolarla nel suo splendore come un vessillo in giro per il mondo. In fondo, in quel marzo del 2013, proprio prima di una sfida contro la Vecchia Signora, la curva B lacrimava senso di appartenenza ai piedi di quello scenografico Vesuvio dipinto del bianco e azzurro dei nostri cuori. Il sentimento di rivalsa contro le potenze nordiche è stato inflazionato e un po’ banalizzato nel corso degli anni. Tra 48 ore tornerà in auge e saprà grondare d’orgoglio. In “mille culur’” il bianco e nero finiranno per smarrirsi.

Una sfida che puntualmente ritorna e che, pur senza volerlo, riesce a caricarsi di significati sempre diversi. In queste vorticose festività natalizie addobbate con essenze un po’ melodrammatiche e un po’ noir, in cui la celeberrima “Napule e’” rischia di divenire la madrina del club dopo essere stata bandita dal San Paolo perchè “portava sfiga”, niente più di Napoli-Juventus può candidarsi ad un (parziale) happy ending.

A maggior ragione se all’improvviso finiamo per risultare favoriti. Va bene gli sconvolgimenti degli ultimi venti giorni, ma non esageriamo. Da vittime sacrificali in quel di Doha ad uno sprint tanto rigenerante che quasi quasi i bianconeri arriveranno a Fuorigrotta in ginocchio e con le mani incrociate. Possibile? Ovviamente no. Solo un altro dei moti destabilizzanti. L’influsso positivo della vittoria in Supercoppa è ancora tutto da valutare, soprattutto se ripensiamo alla prima orrenda mezzora al Manuzzi. La Juve, è vero, viaggia con il freno a mano tirato almeno sui risultati, ma quella straripante nei primi 45’ contro l’Inter non lascia certo dormire sonni tranquilli.

Altro che voli pindarici. Si inizi prima a sputare sangue, poi si vedrà. Vietato qualsivolgia entusiasmo prematuro e deleterio. Adattiamo al nostro piccolo habitat sportivo insegnamenti ed auspici che profeti della nostra patria come Pino Daniele e Massimo Troisi ci hanno lasciato in dote. Non basta riempire le piazze e commemorare, occorre attingere forza e darsi una sveglia. Salvaguardiamo Napoli, rimettiamola in sesto e offriamole un futuro. Ma non solo inveendo dalle finestre contro chi getta fango o criticando senza cognizione di causa un progetto calcistico a tutt’oggi vincente, l’unico che in questa città sappia regalare soddisfazioni e profitto. Basta fare solo le vittime e cullarsi su di un codardo “qua non cambierà mai nulla”. Rimbocchiamoci le maniche e riprendiamoci Partenope dalle fondamenta. Ripartiamo da noi stessi, dall’unione di Piazza Plebiscito. Un mattoncino alla volta, iniziando dai tifosi. Tant l’aria s’adda cagna’

Ivan De Vita

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