Chiedimi se sono felice!

6 vittorie e 6 pareggi nelle ultime 12 gare ufficiali. Nel caotico turbinio di informazioni intorno al Napoli, questo dato mi è saltato all’occhio. La più lunga serie positiva in corso tra le squadre di A. Perdonatemi, ma un mezzo sorriso mi è scappato. Perchè, un po’ per tutti, gli azzurri sono in crisi. Crisi d’identità e di punti di riferimento, o magari punti di riferimento in crisi d’identità. Insomma c’è alta marea, con lo stesso Benitez (continuamente bersagliato)  tutt’altro che sereno, nei confronti della sua squadra e della stampa. E la piazza, nel frattempo, sembra malinconicamente leccarsi le ferite. Di cosa poi? Terzo posto, Europa League e Coppa Italia tutti maledettamente in corsa. Inafferrabili, però, se non si viaggia all’unisono.

In questo marasma di opinioni e sensazioni contraddittorie mi domando: come si distingue la felicità? E alla mia mente balzano innanzitutto le immagini di due nostri calciatori: Marek Hamsik e Jonathan De Guzman.

 Il Capitano è inspiegabilmente diventato il capro espiatorio di tutti i mali del Napoli. Sappiamo benissimo, e lo sa anche lui, che sta attraversando un momento grigio della sua fantastica esperienza alle pendici del Vesuvio. Benitez non imputa il suo spaesamento al modulo come sollevato da più parti, ma ad uno stile di gioco più offensivo rispetto al passato: praterie davanti a sè in una squadra votata alle ripartenze come quella mazzarriana, ora annegato in un imbuto claustrofobico di compagni e avversari in pochi metri di campo. Sarà. Ma i colpi più semplici, le sue invenzioni geniali, la freddezza sotto porta, sembrano uno sbiadito ricordo. Tuttavia, Marek è solo una componente seppure straordinaria, gli altri intoppi non possono essere addebitabili a lui. E questo tormento caricato sulla sua cresta è diventato un fardello troppo pesante. Un gatto che si morde la coda, colpendolo in tutta la sua fragilità caratteriale. Strappandogli la serenità e il sorriso. Ma non la professionalità e l’amore smisurato per quella maglia. Il bacio emozionante di ieri sera è intriso di rabbia, sofferenza e senso di appartenenza. Chi la dura la vince.

Dall’altra parte del confuso microcosmo partenopeo, c’è il simpatico centrocampista olandese. Soprannominato “Happy” appena atterrato a Capodichino, come segno del destino si è travestito da venditore ambulante di felicità negli ultimi secondi della sua prima apparizione a Marassi. Una premonizione e un’antipasto dei suoi tremendi e sorridenti balletti dopo i sei gol siglati finora (in pratica tutti pesanti). Non di certo un fine artista del pallone, ma il classico gregario dai mille polmoni adattabile ad ogni situazione. Impegno e genuinità pagano, così come quel senso di gioia che trasuda da ogni suo movimento. Come un bambino che invece di andare a scuola viene sguinzagliato su un prato verde in compagnia di un pallone. Quanto conta nel calcio non vivere sotto la pressione del “da lui ci aspettiamo di più”…

Ho un altro frame che testimonia la Napoli attuale dai mille contrasti. Il pubblico più innamorato e in preda all’idolatria esistente in Italia. Quello dei 50mila alla prima in serie C contro il Cittadella e delle migliaia di urla di benvenuto all’approdo di Higuain. Bene, da quei tifosi non si possono accettare i fischi alla squadra dopo soli 20 minuti di gioco contro l’Empoli o le misere 5mila presenze al San Paolo della sfida allo Slovan. Al netto di dirette televisive, condizioni meteo avverse e costo eccessivo dei biglietti, un tale menefreghismo non può passare inosservato. Anche perchè dove nasconderete le aspettative infrante o l’orgoglioso dissenso alle illusioni societarie quando il Napoli tornerà a farvi felici?

27 anni. Ecco quanto abbiamo impiegato per sbancare San Siro. Ci è riuscita questa squadra e questo allenatore, poco più di un anno fa. Festeggiamenti in pompa magna e tante benedizioni per questo gruppo, sicuri delle soddisfazioni che poteva regalarci. Non voglio credere sia tutto finito. Tra 48 ore riprendiamo da lì, infilando con astuzia l’azzurro tra il rosso e il nero. Spalla a spalla, o meglio mano nella mano con la nostra passione. Che solo allora si volterà candidamente e ci dirà: “Chiedimi se sono felice!”.

Ivan De Vita

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