Inler: “Siamo il Napoli, non abbiamo paura delle avversarie! Ecco cosa apprezzo di Benitez”

Gokhan Inler ha rilasciato una lunga intervista a Il Mattino. Diversi gli argomenti trattati: i suoi primi passi nel mondo del calcio, la sua avventura in azzurro e le passioni per il pugilato ed il tennis.

Inler, se Benitez cambiasse modulo lei è pronto?

«Ho giocato nel 4-3-3 dell’Udinese di Guidolin e in quella di Marino prima come centrale del centrocampo e sono pronto a fare tutto quello che mi viene chiesto. Ma io sono uno che allo schema non si affeziona, sa che può variare nel corso della partita. Io penso solo che bisogna dare sempre tutto il massimo di noi stessi»

A proposito di Guidolin, le piacerebbe se diventasse ct dell’Italia?

«Ne ho sentito parlare, sarebbe davvero bravo in quel ruolo».

Come è tornato dal Mondiale?

«Soddisfatto.Volevamo passare la fase a gironi e ci siamo riusciti. Poi con l’Argentina sarebbe potuto andare diversamente se non
avessimo fallito tutte le occasioni che ci sono capitate e se poi all’ultimo secondo Dzemaili avesse segnato, ma nel calcio i dettagli quasi insignificanti fanno la differenza. Talvolta è tutta questione di frazione di secondi e di centimetri».

Oltre che un guerriero, anche un filosofo?

«Ripenso spesso a Chelsea-Napoli e a quel mio gol a Londra. Il più bello da quando sono a Napoli, forse della mia carriera. E poi al fatto che noi siamo usciti per un nulla, per un episodio, una distrazione eche poi alla fine sia stato proprio il Chelsea a vincere la Champions. E penso davvero che il calcio sia questo».

Lei quante volte ha combattuto con il destino?

«Tante. Mio padre, Ahmet, lavorava i campi vicino a Istanbul quando decise di partire da lì per andare in Svizzera a cambiare la sua vita. Voleva giocare a calcio, era bravo,ma mio nonno gli negò questa gioia perché aveva bisogno delle sua braccia in campagna».

Con lei come si è comportato?

«Ha fatto qualsiasi cosa per farmi giocare, ogni genere di sacrificio. Io sono nato a Olten nel Canton Soletta e lui mi ha sempre accompagnato agli allenamenti, non dicendo mai di essere stanco anche se magari aveva lavorato per tantissime ore al ferro, come
carpentiere. Mi ha insegnato il significato della parola orgoglio».

Forse avrebbe preferito che giocasse con la Turchia?

«Non credo. Mi chiamarono solo una volta nell’Under 21 turca poi mai più. Credo che mio padre, che ora non c’è più, volesse solo che io fossi felice e soddisfatto».

Non ha mai pensato di trasferirsi in una squadra del suo Paese?

«Avevo 20 anni e giocavo nel settore giovanile del Basilea quando con con un mio amico vado a fare il provino per il Fenerbahce che si allena in Svizzera, a pochi chilometri da dove stavamo. Superiamo i test, sono tutti contenti di noi e Cristoph Daum, il tecnico di allora, mi dice che per me è pronto un contratto di quattro anni. Io vado a Istanbul felice, continuo ad allenarmi in attesa del nulla osta che però non arriva mai. E così mi dicono che me ne devo andare. Una delusione enorme».

La più grande?

«No. Perché quella del 2005 fu un’estate terribile per me: pochi giorni dopo riusciamo, sempre con quello stesso amico, ad avere la possibilità di fare un test con il Galatasaray allenato da Hagi,l’ex stella del calcio rumeno.Mi presento al campo il giorno del provino ma si rifiutano di farmelo fare perché, nel frattempo, quel mio amico aveva comunicato che non lo avrebbe più fatto»

Vatti a fidare degli amici…

«Ma mica è finita. Perché il mio giro finisce al Besiktas dove c’è Del Bosque come allenatore e dove mi porta Sergen Yalcin, il loro numero 10.Ma neppure lì le cose vanno come devono andare e ci resto ancora una volta male. Ma quelle amarezze mi hanno reso ancora più forte. E poi sono tornato in Svizzera che adesso è davvero la mia casa».

La sua è una storia di integrazione esemplare. Quandovede tanti immigrati cercare in ogni modo di sbarcare in Europa, cosa pensa?

«Penso che bisognerebbe fare di più per accoglierli. Per concedere loro quella possibilità di cambiare vita che il mio papà ha avuto».

Cosa le piace di Rafa Benitez?

«Io con lui gioco semplice, in maniera libera, lui mi aiuta a capire che l’età non è importante, non è un fattore vincolante. Che si può continuare a crescere e a imparare anche quando hai 30 anni».

Tutti si attendono grandi cose da voi.Vi spaventa l’idea?

«Noi siamo pronti alle grandi sfide di questa stagione, al campionato e alla Champions. Non abbiamo timori, non ci sentiamo inferiori alla Juventus e alla Roma. Siamo il Napoli, siamo un gruppo che ha una voglia incredibile di far felici i propri tifosi e che sa come renderli felici».

Rafa conosce la sua passione per la boxe?

«L’ho sempre avuta anche quando ero a Udine perché ho sempre ammirato Mike Tyson, il suo modo di muoversi sul ring. E poi mi
sono appassionato ai grandi match dell’immenso Cassius Clay. Penso di aver visto tutti i suoi combattimenti. Non credo che nessuno al mondo sia stato forte come Muhammad Ali. A Napoli, poi, ho conosciuto Patrizio Oliva con cui mi alleno spesso: il pugilato serve anche per quando giochi, perché ti dà sicurezza, ti consente di essere anche più attento».

Colpi bassi nessuno, però?

«No, né in campo, né fuori. Io sono una persona leale. Il mio colpo preferito è il diretto, ma ho anche un buon gancio sinistro (e lo mima, ndr)».

È vero che è amico di Federer?

«È svizzero come me ed è un grande campione. L’ho conosciuto e qualche volta ci sentiamo,lui mi invita ai suoi tornei ma io non ho molto tempo per andarlo a vedere. Però il tennis è un’altra mia grande passione. Roger come me ha l’88 come numero portafortuna. Lui perché è nato il giorno 8, io perché a Udine volevo la maglia con l’8 ma non  me la diedero perché ce l’aveva già Andrea Dossena».

Su twitter ha messo in palio delle maglie per chi indovinava il suo piatto preferito:qual è la risposta esatta?

«Le polpette al sugo. Le vado a mangiare spesso a Napoli, portando con me i miei tre cani: Eesha, Keyah e Rago».

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