Il ricordo del 9 luglio 2006: l’inizio di un sogno, la fine di un’era

Nove luglio Duemilasei: una data impressa nel cuore degli italiani. Il telecronista Caressa allora urlava: “Campioni del mondo, campioni del mondo!” con la voce rotta dall’emozione e tutto lo stivale, dopo il fischio finale, era pronto per scendere nelle piazze ad abbracciare chiunque provasse le stesse uniche sensazioni, perché ci si sentiva fratelli d’Italia, orgogliosi dei 23 combattenti che avevano inseguito e raggiunto un sogno.

Il cielo era azzurro sopra Berlino. La coppa alzata da capitan Fabio Cannavaro resterà per molti una magra consolazione degli ultimi anni. Tormentoni di ogni genere affollarono l’estate nostrana: dal “poporopopopopo” al siparietto sulla testata di Zidane a Materazzi passando per la “santificazione” di Grosso, l’ultimo rigorista, fino allo sfottò a Trezeguet che sbagliò il rigore decisivo per i francesi. Sembrava, anzi, era l’Italia perfetta. Gli uomini di Lippi coesi tra di loro, formavano una vera e propria squadra, invidiata da tutti. Ma come ogni cosa ha un inizio ed una fine, così pure la gloriosa Italia disse addio ai sorrisi.

Il Mondiale del 2010 in Sud Africa, quello delle vuvuzelas e del “Waka waka” di Shakira, per alcuni sostanzialmente non è mai iniziato, difatti gli azzurri, traghettati ancora da Lippi, uscirono al primo turno contro un’umilissima Slovacchia, infrangendo i sogni di chi credeva ancora nella forza e nell’unione di quella squadra. Il cambiamento fa parte della vita di ognuno di noi, e anche un team ha bisogno di aria nuova, gente diversa e con grandi ambizioni. Probabilmente l’errore fu uno: convocare tanti giocatori del Mondiale precedente, i quali avevano lasciato gran parte delle motivazioni ancora nella capitale tedesca.

Il declino poi fu netto ed irreversibile fino a Brasile 2014. Le polemiche per le convocazioni sono iniziate ancor prima che Prandelli ufficializzasse i 23 uomini. Balotelli sì, Balotelli no. Rossi merita, Rossi a casa. Nei bar, nelle case e in qualsiasi altro posto ognuno diceva la propria, storcendo il naso per quelle decisioni. Si percepiva già che quegli azzurri che sarebbero partiti e che avrebbero dovuto portare in alto la bandiera verde-bianca-rossa, non erano “squadra”. Troppi individualismi, livello tecnico oggettivamente basso. La prima vittoria contro gli inglesi accese inutili e flebili speranze.  L’Italia del “poporopopopo” era lontana, lontanissima. Come una nave che va incontro ad un iceberg ed inizia il suo lento declino, così la Nazionale ha mostrato tutte le sue debolezze una volta colpita.

The end. Dopo la sconfitta contro l’Uruguay e le dimissioni di Prandelli ci si è resi conto che bisogna dare una svolta decisiva. E magari ripartire, fra quattro anni, dal nove luglio duemilasei.  Da quegli splendidi sogni di una notte di mezza estate.

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