GdS, il poliziotto ferito a Roma: “Sono vivo per miracolo, tutto è partito dall’agguato ai pullman azzurri. Il silenzio delle istituzioni è più grave delle ferite”

Se tre costole rotte, un versamento pleurico e 28 giorni di prognosi vi sembrano pochi. C’è un conto che spesso sparisce dai bilanci degli scontri da stadio, quello degli agenti feriti: regolarmente attaccati dagli ultrà e puntualmente dimenticati dai media, come se non fossero degni delle stesse attenzioni che si riservano ai “caduti” tra i tifosi. Dei poliziotti rimasti feriti prima della finale di Coppa Italia, vittime della furia dei napoletani, il sovrintendente romano con cui entriamo in contatto è quello messo peggio (ma anche l’agente del commissariato Prenestino picchiato all’Olimpico ora rischia di perdere un occhio). Sabato pomeriggio era in servizio su Tor di Quinto, a pochi metri dal luogo della sparatoria. Lui e il suo collega di pattuglia sono stati i primi a intervenire – o almeno, come vedremo, ci hanno provato – pochi istanti dopo gli spari.

Ne vale la pena? Raccogliamo la sua testimonianza attraverso il coordinatore provinciale del Consap Francesco Scoditti. Per ovvie ragioni, lui non può fornirci la sua identità. Ma il suo racconto non omette nulla degli incidenti e, oltretutto, apre una finestra inquietante sulle condizioni di lavoro delle nostre forze dell’ordine. Partiamo da qui, da un malessere che l’indifferenza delle istituzioni non fa altro che acuire. “La ferita che fa più male delle bastonate prese dagli ultrà napoletani a Tor di Quinto – attacca il sovrintendente – è il silenzio, per giorni, dei miei superiori, e le parole di Angelino Alfano: mercoledì il ministro dell’Interno ha dichiarato alla Camera che nessun rappresentante delle forze dell’ordine ha riportato ferite gravi negli scontri di sabato. Peccato che la mia schiena dimostri il contrario. Li vede questi? Sono i segni lasciati dai tondini di ferro con cui mi hanno colpito, li tenevano nascosti dentro tubi di cartone. Vorrei dire ad Alfano che ho 40 anni e sono un sovrintendente pluripremiato, ma vengo pagato come un agente perché lo Stato ci ha bloccato gli aumenti salariali. Guadagno poco più di 1.400 euro al mese e mi spettano solo 30 ore di straordinari: superate quelle, e le supero regolarmente, lavoro gratis. Caro ministro, care istituzioni, come mi dovrei sentire? Vale la pena rischiare la vita per la vostra indifferenza?”.

Quelli come noi. Sabato se l’è vista davvero brutta. “Per i medici dell’ospedale Sant’Andrea devo ringraziare i miei muscoli dorsali”, racconta. “Se non fossi un patito della spartan race (corsa a ostacoli che mette a dura prova la resistenza degli atleti, ndr ), quelle bastonate mi avrebbero sfondato i polmoni. E per fortuna indossavo il casco, anche se di due misure più grande. L’ho ‘rimediato’ in armeria, perché quelli come noi non dovrebbero indossarlo…”. Quelli come il nostro testimone sono le prime vittime sacrificali del calcio italiano. “Sono un ‘falco’ in motocicletta della Squadra mobile di Roma. Noi che abitualmente non ci occupiamo di ordine pubblico, serviamo da supporto ai colleghi del Reparto mobile. Insomma, ci chiamano quando la celere non basta, ma ovviamente non abbiamo la loro preparazione. Noi non veniamo addestrati una settimana al mese come loro, perciò quando c’è una partita possiamo essere impiegati solo nell’attività giudiziaria a ‘largo raggio’, lontano dallo stadio, per cui non è previsto nemmeno l’uso del casco. Ecco perché sabato mi trovavo a Tor di Quinto”.

Cosa è successo. A un chilometro e mezzo dall’Olimpico, ma dentro l’inferno… “Io e il mio collega eravamo proprio a pochi metri dal luogo della sparatoria. Il viale era pieno di gente che aveva parcheggiato la macchina e procedeva a piedi in direzione stadio. Alle loro spalle sono arrivati i 22 pullman dei tifosi napoletani scortati in testa da un solo blindato. Sono rimasti subito imbottigliati, così in molti sono scesi ingrossando ulteriormente il corteo. In quel casino, c’è stato l’attacco al pullman e tutto quello che ne è seguito. Quando un collega dal blindato ha comunicato via radio che c’erano dei feriti da arma da fuoco, abbiamo deciso di intervenire, ma a quel punto gli ultrà del Napoli avevano già cominciato la caccia alle divise. Il mio collega non è nemmeno riuscito a scendere dall’auto, investito da pugni, sassi e bastonate (se l’è cavata con 8 giorni di prognosi, ndr ). Io ce l’ho fatta, ma a quel punto mi sono trovato tra due ali di incappucciati infuriati, armati dei tondini. Sono riuscito a farmi strada fino al blindato, per trovare un riparo, ma arrivarci è stato… doloroso”. “Cosa mi resta di tutto questo? Tanta amarezza. Mi chiedo perché in Inghilterra basti toccare con un dito uno steward per andare dritto in galera, mentre qui anche chi massacra un poliziotto sa che in un modo o nell’altro se la caverà. Quanto vogliamo andare avanti così?”.

FONTE Gazzetta dello Sport

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