L’editoriale di Ivan De Vita: “Quando lo sport era un gentiluomo…”

1 maggio 1994. Ore 14:17. Non è il giorno di uno scudetto, nè della spedizione di uno shuttle. Ma è nella mente di tutti, pregno di dolore e principio di una rivoluzione. Ayrton Senna ci lasciò in un battito di ciglia. Ci lasciò un uomo dello sport. Uno sport di un’altra dimensione. Esattamente nello stesso istante entrò nel mito. Solo la storia può legittimarne le gesta.
1 maggio 1994, dicevo. Ero in terrazza con un orecchio alla radiolina, ricordo sepolto della mia infanzia da tifoso. Il Napoli vinceva sul difficilissimo campo del Foggia di Zeman, volando verso la qualificazione in Coppa Uefa. Ma quel giorno anche la passione di un bambino passava in secondo piano. La Formula 1, fino a quel maledetto pomeriggio, era solo una fastidiosa interruzione alle radiocronache dai campi. Eppure Ayrton lo conoscevo. Sapevo che era un campione, mi piaceva la sua compostezza e l’assenza di teatralità che traspariva dal suo sguardo. E attendevo gli aggiornamenti da Imola. Perchè a 10 anni lo sport è solo un gioco, uno spettacolo. La morte non poteva appartenergli.
Non sapevo che, invece, si sfidava l’innominabile ogni sacrosanta domenica. Buchi neri nei regolamenti e in tutti i circuiti, tortuosi e ruvidi come piste da rally. Muri di cemento e non di gomma, vie di fuga quasi inesistenti, corbellerie meccaniche ad oggi impensabili. Non sapevo che nello stesso weekend del Gran Premio di San Marino, dopo un incidente capitato a Rubens Barrichello, il pilosta austriaco Roland Ratzenberger perse la vita in uno spaventoso schianto nel sabato di qualifica. Senna quella domenica non voleva correre, dopo i continui contrasti per la mancanza di sicurezza in pista. Lo fece per la sua gente. E per Dio, che diceva di sentire sempre accanto. A oltre 300 km/h verso un destino beffardo.
Tre volte campione iridato con la Mclaren. Tra le sue mani il manuale del giro perfetto. 80 podi in carriera sono un’enormità. Passato alla Williams, finì fuori pista già ben due volte quell’anno. E ad oltrepassare la bandiera a scacchi da primo della classe fu, ironia della sorte, un certo Michael Schumacher.
Il mio vuole essere, però, un tributo al gentiluomo. Alla personalità magnetica, carismatica. Alla sua profonda sensibilità. Lo ritenevano uno sportivo da prima pagina e non solo per i successi. In italiano, spagnolo, portoghese, inglese, lui sapeva sempre regalare fantastiche chicche ai giornalisti, velatamente mistico e senza mai sfociare nella banalità. Senza farsi accalappiare dal frastuono della gloria. In Brasile è divenuto una divinità, come Maradona per gli argentini. Un Paese che, grazie a lui, ha accelerato e seminato tutti gli altri. La velocità. Proprio lei, sua ragione di vita. Suona come un ossimoro, rischiano di tamponarsi, così come l’essenza di ogni leggenda. Vivere nella velocità, morire in un attimo. Eppure il mondo 2.0 che ama e dimentica in un click lo ha eternamente memorizzato. Da quel 1 maggio in Formula 1 è cambiato tanto, niente più vittime di una curva o un errore umano. E’ questa la sua grande vittoria. Aveva ragione il bambino di 10 anni: i veri campioni non muoiono mai.
Saudade. Tanta nostalgia nel rimembrare personaggi sportivi che non esistono più. Magari in 20 anni è lo sport ad essersi incancrenito. E allora mi va di accostare la figura di Senna a quella di Vujadin Boskov (le loro fortune incrociavano lo stesso periodo), altro simpaticissimo gentiluomo che ci ha lasciato solo qualche giorno fa. Un altro protagonista della sua epoca, di un calcio più umano e meno patinato. Malgrado i suoi successi, la grande Sampdoria di Vialli, Mancini e Pagliuca, lui passerà agli annali come stratega della comunicazione. Catalizzazione mediatca sui suoi aforismi, una sorta i scudo per l’integrità dei suoi calciatori. Integerrimo e cortese, saggio nella sua profonda retorica. “Rigore è quando arbitro fischia” è una geniale assunzione di responsabilità, altro che lo scaricabarile odierno. Ecco, quando questi miti ti lasciano si avverte un senso di vuoto. Magari altri eroi un giorno sapranno anche rimpiazzarli. Ma, purtroppo, non sarà più il loro tempo.

Ivan De Vita
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