Maurizio De Giovanni: “Che differenza tra Higuain, Mertens e gli altri…”

Conflitto di pensieri e sensazioni per il tifoso azzurro, ieri al San Paolo, col primo caldo del sole brillante nel pomeriggio. Il tabellino, che poi alla fine è quello che conta, recita di un risultato che bissa quello dell’Olimpico all’andata; ma che malinconia a ripensare a quel momento, quando ben altre erano le aspirazioni e ben altri gli obiettivi del Napoli. A un girone di distanza, si stiracchia un malinconico pomeriggio in cui l’unico vago pensiero è di preoccupazione per una Viola che non smette di correre.

Anche se obiettivamente anche i pessimisti cronici cominciano a essere convinti che il terzo posto sia ormai in cassaforte, coi suoi orribili preliminari ansiogeni e spezzapreparazione. Un pomeriggio di malinconia, anche a vedere la differenza di categoria spaventosa tra gente come Higuain e Mertens e altri che pure, abusivamente o quasi, indossano la loro stessa maglietta.
Che deve pensare, il tifoso azzurro in un pomeriggio così? Che forse gli sarebbe piaciuto vedere i propri beniamini vincere più nettamente, al di là di quello che dicono i numeri che dipendono totalmente, nello score, dai due fuoriclasse di cui sopra; e che forse Benitez, per riequilibrare le forze in campo e per dare un po’ di pepe allo spento incontro, ha messo fuori Mertens e da quel momento sembravano uomini pari, anche se in undici contro dieci. E che quando poi è uscito anche Jorginho, l’unico con sale in zucca tra i centrocampisti azzurri, la gestione del pallone è diventata impossibile e allora sembravano addirittura di più i ragazzi di Mastro Reja, vecchio bucaniere del campionato italiano, che meravigliosamente ha gestito una Lazio falcidiata dagli infortuni e punita dall’arbitro. Tutto bene, insomma, perché si è vinto. Ma tutto male, perché finire la stagione con sette, otto giornate d’anticipo non è quello che vuole e che merita una piazza come questa. I dodici punti di distanza dalla Roma fanno infatti ancora più impressione dei venti virtuali dalla capolista bianconera; perché se è vero che la zebra da corsa ha fatto il vuoto ben presto e in maniera perentoria, cedere le armi così presto e così tanto ai giallorossi è tutto un altro paio di maniche.

Si ha il sospetto che i riflessi di questo gap e dell’uscita dall’Europa, immeritata quella dalla Champions e anticipata e ingiustificabile quella dall’Europa League, siano ricaduti pesantemente su tutto l’ambiente: i media, che hanno ben pochi argomenti da palleggiarsi nelle molte ore di trasmissione e nelle tante pagine di giornale che mancano di qui a fine stagione; i tifosi, che rischiano una depressione da vacanza anticipata; Benitez, che ormai ha già capito fin troppo bene chi può continuare il progetto tecnico che ha in mente e chi no; la squadra, che ha fatto lo stesso ragionamento del tecnico e difficilmente potrà trovare ulteriori motivazioni di qui alla fine. Certo, ci sono i mondiali: ma anche lì i giochi sembrano più o meno fatti, e chi ha ancora in mente di poter staccare il biglietto per Rio continua a perdere occasioni su occasioni, anche con la fascia al braccio, non capendo che un assist riuscito vale più di un tiro a vanvera.
Invece non è così. Invece c’è ancora molto da dire e da fare, e la posta in gioco può essere ancora alta. Perché le idee tecniche possono cambiare, perché nelle gambe ci può essere ancora tanta birra, perché se gente che obiettivamente non ha niente da dover dimostrare tira fuori dal cilindro colpi come quello del folletto belga o la tripletta meravigliosa del Pipita, allora gli altri hanno il dovere di dare il massimo. E il tifoso, in cambio del proprio immenso amore, ha il diritto di pretendere impegno, risultati e soprattutto tanto, tanto sudore.

Fonte: Il Mattino

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