Il Napoli galvanizzato dalla vittoria vuole bissare con la Juve ma per il futuro c’è ancora da lavorare

Raschia il fondo del barile, il signor Benitez. No, non quello delle promesse estive. Dei desideri d’agosto. Degli obiettivi mancati e necessariamente rimandati. No, il barile stavolta è quello della resistenza e delle rimanenze della squadra. E così, più che alla disperazione del Catania, il signor Rafa pensa alla legittima, imminente supponenza della Juve. Come dire: il cuore in Sicilia ma la testa già alla prossima partita. Cosicché: fuori Higuain e pure Albiol e dentro Zapata e pure Britos. Decisione felice per l’attacco, visto che il giovanottone si diverte e segna due volte addirittura, un po’ meno, invece, per la terza linea in crisi pure col povero, orgoglioso e anche sfortunato attacco del Catania.

Ma tant’è: il Napoli comunque fa quello che deve. Rischia, è vero, però vince e vince bene, vince largo. Ed è già un bel passo avanti rispetto al passato più recente, quando ha rischiato e manco ha vinto. Un passo avanti. Anzi due in direzione Champions, seppure, visto il successo della Roma e la sconfitta della Fiorentina, attraverso la porta di servizio e la trappola dei preliminari. Perché là davanti, ormai, a meno di chissà quali rivoluzioni, i giochi sono fatti, il podio è pronto: Juve, Roma e Napoli.

E allora, sotto con la Juve. Meno quattro a questa partita che non è come le altre. Match di grandi attese e di antichi sentimenti. Qualcuno dovrà forse spiegarlo ai nuovi azzurri. Qualcuno dovrà raccontare agli ultimi arrivati – compreso il signor Benitez – quello che Diego Maradona rispose quando un giorno, seduto ad uno dei tavoli della mensa di Soccavo, gli fu chiesto che cosa avrebbe messo nella sua valigia il giorno dell’addio alla maglia azzurra. “Non porterò scudetti e neppure coppe. Porterò – disse sicuro e sorridente – la voglia della gente di battere la Juve”.

Match che stavolta regalerà pure qualcosa in più: il confronto tra due filosofie diverse del pallone: il pragmatismo anche un po’ casareccio ed arrabbiato di don Antonio Conte, contro il rilassato edonismo spanglish di Benitez. Visti conti, si direbbe che il vituperato e patriottico 3-5-2 dei bianconeri batte l’idea internazionale del 4-2-3-1, ma non è così. Il problema, infatti, non è il disegno, ma chi quel disegno porta in campo. Insomma, non è la forma, bensì la sostanza che fa la differenza. Che l’ha fatta anche stavolta. In difesa, soprattutto. Una lezione per il prossimo mercato? Non v’è dubbio. Perché delle due l’una: o Benitez corre ai ripari davanti al povero Reina, o Benitez per il futuro rivede il suo disegno, oppure De Laurentiis deve mettere a sua disposizione interpreti diversi: più forti, più sicuri, più internazionali. E vista la testa dura di Benitez – tatticamente, si capisce – e i ripetitivi, insopportabili errori della difesa azzurra, è meglio che ci pensi De Laurentiis.

FONTE Francesco Marolda per il Corriere dello Sport

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