Il Napoli si riscopre fragile tra stanchezza ed un pizzico di sfortuna

L’eliminazione dall’Europa League e la sconfitta contro la Fiorentina sono state accompagnate dagli applausi del San Paolo, dove negli ultimi quattro giorni della scorsa settimana si sono radunati centomila tifosi. Non è un controsenso: è la conferma dell’amore verso il Napoli di cui si nutrono i napoletani ed è la testimonianza dell’apprezzamento del lavoro di Benitez, che non si è risparmiato nelle partite con il Porto e i viola, finite amaramente. Rafa è questo: vuole imporre la sua vocazione europea nel calcio italiano che a lui appare sparagnino, difensivista fino all’eccesso. Tre anni fa all’Inter non gli concessero questa opportunità, De Laurentiis lo ha scelto per guidare il Napoli da qui al prossimo scudetto. Ma il futuro si costruisce anche riflettendo su errori e negative circostanze del presente. I due colpi subiti in quattro giorni meritano un approfondimento perché segnalano i malesseri di una squadra che è stanca e che è obbligata nelle ultime nove giornate a difendere il terzo posto (preliminare per la Champions League) e a tentare di arrivare al secondo (qualificazione diretta alla Champions).

La stanchezza. Ci sono undici giocatori che hanno superato le trenta presenze tra campionato e coppe, ben cinque già oltre i tremila minuti. Sono Albiol e Callejon i più utilizzati, subito dopo Higuain e Mertens. Benitez non ha dato vita a uno sfrenato turnover tra campionato e coppe, a differenza del suo predecessore Mazzarri, anche perché avrebbe voluto arrivare fino all’ultimo atto di Europa League, vinta col Chelsea nel 2013. E questo ha affaticato i giocatori perché non è ampio il parco-riserve e alcuni azzurri sono stati impiegati più di altri perché si è creata l’emergenza sulle fasce. Zuniga è sparito dai radar il 2 ottobre; Mesto è appena tornato a disposizione di Benitez e Maggio si è fermato dopo la trasferta a Oporto. La panchina non si è particolarmente allungata rispetto alla scorsa stagione, ma alcuni cambi di Rafa durante le partite si sono rivelati tardivi: ad esempio, domenica scorsa c’erano giocatori che erano stremati a causa dell’inferiorità numerica ma la prima sostituzione è arrivata alla mezz’ora della ripresa.

Le scelte. De Laurentiis ha firmato nella scorsa estate il mercato più costoso della sua gestione, tuttavia non è stato acquistato un altro possente difensore centrale né un esperto vice per Higuain: a completare il parco-attaccanti è arrivato l’acerbo Zapata e così il Pipita deve reggere il peso della prima linea. Dopo aver visto sfumare l’Europa, l’argentino appare particolarmente nervoso: domenica ha litigato con l’arbitro e non ha gradito la sostituzione, come testimoniato dal lancio di una bottiglietta e di un giubbino in aria. Sono stati compiuti altri interventi sul mercato di gennaio, però è evidente che Jorginho, Henrique e Ghoulam non sono giocatori in grado di far compiere il salto di qualità. Servono altri campioni per completare il mosaico e tentare nella prossima estate di allestire un organico altamente competitivo, in grado di affrontare alla pari la sfida scudetto con la Juventus. Non è soltanto un discorso di carattere tecnico, c’è anche un aspetto sul carattere dei giocatori da approfondire. Il Napoli ha un solo vero leader e si chiama Reina. La sua personalità è spiccata, si fa notare non soltanto per le straordinarie parate (alcuni interventi hanno regalato al Napoli punti pesanti) ma anche per il sostegno psicologico che dà alla squadra.

Il gioco. Mazzarri, che dopo 29 giornate nello scorso campionato aveva solo due punti in meno di Benitez (56 contro 58), era fin troppo pratico e il suo calcio difesa-contropiede non piaceva agli esteti anche se redditizio. Quello di Rafa ha conquistato nei primi mesi i tifosi del Napoli, finché si sono viste aggressività e intensità, finché c’è stato il bel calcio sviluppato da interpreti di assoluta qualità come Higuain, Callejon e Mertens. Ma è un sistema pesante da reggere perché prevede un dispendio di energie in fase difensiva. Il Napoli ha alternato tre mediani fino a gennaio, quando sono arrivati Jorginho e il jolly Henrique: la fatica si è notata. Spesso il Napoli è apparso squilibrato in campo e ha concesso punti agli avversari, anche quando era in parità numerica: il perfezionamento passa anche la maturazione della squadra che ha buttato importanti occasioni al vento.

Il rebus. Su alti e bassi del Napoli incidono le prestazioni di Hamsik, che sta vivendo la più deludente stagione della sua avventura napoletana. È partito benissimo, si diceva che il suo gioco fosse migliorato passando da Mazzarri a Benitez. Ma c’è stato subito un calo, fino a un periodo di inattività durato quasi due mesi per l’infortunio al piede. Ne ha risentito il Napoli, ne risente tuttora Hamsik, a cui non riesce più la giocata che metteva in difficoltà le difese avversarie. E non riesce a segnare dal 2 novembre, partita d’andata con il Catania. Non ci sono strani pensieri nella testa di Marek, che ha giurato fedeltà al Napoli quando ha firmato il rinnovo del contratto, piuttosto c’è un problema fisico che non gli consente di esprimersi sui massimi livelli. Attento agli aspetti psicologici, Benitez ha concesso la massima fiducia ad Hamsik perché sa che solo giocando, e magari ritrovando il gol, può superare questo momento.

Gli obiettivi. Certi scompensi, all’inizio di una nuova gestione tecnica, sono possibili, quasi inevitabili. La Roma ha avuto maggiore capacità di assorbimento del nuovo gioco e del nuovo allenatore Garcia, ma soprattutto non ha dovuto reggere il peso di dieci partite delle coppe europee. Sarebbe stato possibile colmare le distanze e le differenze di rendimento in campionato se non vi fossero stati pesanti infortuni e se l’organico avesse avuto più ricambi. È difficile pensare che la Roma, dopo una stagione all’insegna della massima regolarità, possa subire un crollo nelle ultime dieci partite (ne ha una in più del Napoli, dovendo recuperare 80’ contro il Parma): va difeso il terzo posto e tentare di approfittare di eventuale passi falsi dei giallorossi. E poi c’è la finale di Coppa Italia, da giocare contro la Fiorentina il 3 maggio: un trofeo importante, peraltro l’unico vinto da Mazzarri nelle sue quattro stagioni. Gli ultimi 180’ al San Paolo hanno indubbiamente fatto compiere passi indietro perché pesano l’esclusione dall’Europa League e la sconfitta che rischia di aver consegnato alla Roma la qualificazione diretta in Champions, con relativo carico di milioni e onori. Ne è consapevole Benitez, che ha spalle larghe e fiducia nel progetto che ha avviato con De Laurentiis per restituire al Napoli forza e prestigio in Italia e in Europa. Ma da qui a metà maggio bisognerà sbagliare il meno possibile, tramutando in energie positive gli applausi ricevuti in due notti da dimenticare.

FONTE Il Mattino

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