L’editoriale di Deborah Divertito: “Di padre in figlio”

Parlando da quel che sono nella vita normale, una criminologa del conflitto, mi viene facile asserire che per capire un adolescente, il suo modo di fare, le sue reazioni e le sue emozioni, bisogna capire in che contesto si è formato e la prima chiacchierata va fatta con i genitori. Insomma, tutto ha una spiegazione. E, quasi sempre, questa va ricercata nelle origini.

Parlando da quel che sono per passione, una collaboratrice di una testata giornalistica che parla di sport, non posso non dire due parole su una notizia che mi ha lasciato un amaro in bocca, come neanche l’Unicum dopo il pranzo di Natale.

Parlando da quel che sono stata fino a qualche anno fa, e dico “qualche” generico, perché ho perso anche il conto, cioè, da atleta, posso tranquillamente dire che la notizia non mi ha sorpresa affatto.

Treviso, 14 anni e un futuro ancora da decidere. Il presente, invece, quello, l’hanno deciso i genitori. Il padre, nello specifico. E nel modo peggiore. Il ragazzo è una giovane promessa del nuoto. Giovane. Promessa. Due cose che vanno di pari passo, di solito. Ma non per suo padre. Le promesse non danno soddisfazioni, sono rischiose, perché serbano in sé la possibilità di non essere mantenute.  Di essere disattese. A 14 anni, il ragazzo doveva essere già un campione. Non una promessa, ma una realtà. A tutti i costi. Economici e fisici. E allora, tocca accelerare i tempi. Non solo quelli dei record in vasca, ma anche  quelli del successo, della crescita fisica e delle prestazioni sportive. Il ragazzo è stato costretto ad assumere grandi quantità di integratori proteici, ma anche creatina e aminoacidi ramificati, per poter essere accettato dal padre e accolto a casa come un campione. Uno di quelli che arrivano primi,  non sono mai vincitori veramente. Solo quando portava a casa un buon risultato, il ragazzo incassava i complimenti del genitore. In altri casi, incassava insulti e maltrattamenti. Parenti ed amici se ne sono accorti, per fortuna, e la mamma ha denunciato il papà. Il tribunale, però, ha ritenuto opportuno togliere la potestà genitoriale ad entrambi e affidare il ragazzo ai servizi sociali.

Certo, questa è una situazione limite di un padre patologico e di una mamma totalmente assente, ma quante volte abbiamo assistito a gare che si svolgevano sugli spalti, tra i genitori, piuttosto che in campo, tra i figli? Quante volte abbiamo visto bimbetti essere incitati e aizzati contro l’avversario, piuttosto che applauditi e sostenuti a prescindere dal risultato? E queste ultime affermazioni, non pensate che possiamo riferirle anche a noi stessi? Ai tifosi sugli spalti? Quante volte abbiamo tifato violentemente contro, piuttosto che amorevolmente e passionalmente a favore?

Da un paio di settimane, in curva B, è apparsa una bellissima bandiera raffigurante due pugni che si toccano, quello di un adulto e quello di un bambino, davanti ad un pallone di cuoio. Sopra, la scritta: “Di padre in figlio”. Ecco. Forse è il caso di ricordare a tutti noi che è importante che il primo sia sempre all’altezza dei sogni del secondo, e non il contrario.

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