Il talento di Jorginho eclissa De Rossi e trascina il Napoli sempre più in alto

Più o meno un anno fa, di questi tempi, Jorge Luiz Frello detto Jorginho era reduce da una sconfitta a Novara con il suo Verona, e probabilmente trascorreva il mercoledì a casa, davanti al televisore, o magari con gli amici o la famiglia. Chissà. Di certo, all’epoca per il brasiliano non c’erano coppe e tantomeno semifinali, ma molto probabilmente soltanto una dose infinita di sacrifici e un mare sconfinato di sogni. Che, dopo uno splendido giro di calendario, sono diventati realtà: il Napoli; la finale di Coppa Italia conquistata da protagonista; la sfida vinta con l’omologo della Roma, il campione titolato, Daniele De Rossi; il gol del 3-0 con un inserimento perfetto. Il primo in azzurro: al San Paolo e al cospetto di Diego. La mano de Dios sulla testa e le braccia al cielo. Beleza.

LA FAVOLA – Un po’ da romanzo, il confronto. Di certo bello da raccontare, considerando che l’affamato Jorge ha 22 anni ed è appena sbarcato sul pianeta del grande calcio, mentre Daniele, trentenne di classe, è da anni un vero e proprio attore da Oscar. Ieri, però, niente da fare per lui e per la Roma: ha vinto il Napoli, ce l’ha fatta Jorginho. E la standing ovation che il popolo azzurro gli dedica al momento della sostituzione è il coronamento di una sfida vinta.

LUCI E OMBRE – E allora, il duello al microscopio. Anzi, il testa a testa, considerando che i signori in questione sono i perni del sistema nervoso di Napoli e Roma: è dalle loro idee che, nella maggior parte dei casi, nascono le azioni; è a loro che i compagni si affidano per cominciare la tessitura della tela. Dinamismo costante e lucidità obbligata: sono queste, le qualità richieste. E sono questi anche i rischi del mestiere: chiedere a De Rossi, che al 14′, sulla propria trequarti, si becca l’intercetto del passaggio dal velocista Mertens, tipo quarterback, obbligando Benatia a un’ammonizione necessaria quanto dolorosa. Capita. Anche a Jorge, ma in fase d’attacco e senza conseguenze.

CERVELLI DIVERSI – Non un caso: nel senso che è diversa la rispettiva interpretazione del ruolo. Per il passo, la personalità e soprattutto per i compiti tattici: De Rossi è più schermo davanti alla difesa; Jorginho più radar di mediana. Un’infinità, i palloni giocati dal capitano romanista di giornata, primo controllore di Hamsik e in genere dedito al raddoppio, al pressing e finanche alla marcatura da quinto in linea. Più brillante in fase di costruzione, invece, la prestazione del brasiliano: corre e si propone molto fino alla fine – il gol non è casuale -, e se nel primo tempo paga la sofferenza collettiva sulle ripartenze, il lavoro sullo stretto è invece sempre ben calibrato. Come l’alimentazione. Cervelli, sì, ma diversi.

IL FINALISTA – In comune, tutto sommato, i duellanti hanno soltanto una cosa: l’Under 21 italiana. Anzi, no, in effetti c’è anche che sono due uomini di mare, essendo l’uno romano di Ostia e l’altro brasiliano di Imbituba, Stato di Santa Catarina: magari non proprio lo stesso tipo di spiagge, ma comunque l’ispirazione è quella. L’Under azzurra, dicevamo: che De Rossi ha vissuto da protagonista vero, con tanto di oro europeo conquistato nel 2004, e che Jorginho ha soltanto assaggiato partecipando a un raduno con Mangia (in campo non riuscì a scendere per questioni di carattere burocratico). Altro da dichiarare? Beh, qualcosa: De Rossi, a partire dal Mondiale vinto nel 2006, di partite importanti ne ha giocate a bizzeffe, mentre per il collega, quella di ieri, è stata di certo la prima della carriera. Facciamo l’antipasto: la finale dell’Olimpico è sua.

FONTE Corriere dello Sport

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