L’odissea di 15 eroi multiformi…

« Narrami, o musa, del l’eroe multiforme, che tanto vagò, dopo che distrusse la Rocca sacra di Troia (ndr. Giulietta, per gli amici): di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri, molti dolori patì sul mare nell’animo suo, per riacquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni.”

Sto per narrarvi le gesta non di uno, ma di 15 eroi multiformi, dal tondo allo spilungone al gigante al mingherlino a quello dal naso importante a quello con gli occhi da orsacchiotto e vari ed eventuali. Insomma, questa che riporterò di seguito è la nostra personale Odissea. Napoli-Bologna in più di cento tappe. Alcune obbligate, altre inutili, altre per sfiga, altre, ancora, per devozione. Così, tanto per poter dire un giorno: “Questo autogrill me lo ricordo. Ricordo ancora le sirene che ci chiamavano con il loro canto ammaliatore a cui resister non potemmo! Potrei farvi da guida  negli impervi percorsi, tra i salami di Norcia e il pecorino di Fossa, tra l’offerta della cioccolata con lo sconto del 33% e i Gratta&Vinci che ti fa perdere all’ultimo numero tutte le speranze. Un po’ come la partita a cui eravamo diretti.”

Questa è la storia di un’avventura con una fine. Che sia lieta o meno, e non lo è stata, al momento poco importa. L’avere avuto una fine, vi assicuro, è stato già un miracolo.

Partimmo che la rugiada ancor ci bagnava il viso, alle sei e mezzo del mattino. Sei in una multipla, nove in un furgone che aveva già visto ben altre imprese. L’ultima, quella a cui presi parte anch’io solo una settimana fa, in quel di Verona a trovar Giulietta e tutti i suoi figli. Prima di sapere che eravamo anche noi figli suoi e allora un po’ confusi per questa strana fratellanza, regalammo tre perle di calcio, prendemmo tre punti e tornammo nella nostra terra, mai così felici. Ma sembrano così lontani, ormai, quei tempi.

In tutti i casi, partiamo fiduciosi. Ignorando una strana spia rossa che avrebbe dovuto metterci in allarme. Ma noi eravamo 15 eroi multiformi, nulla avrebbe potuto distruggerci! A noi no. Ma alla cinghia dell’alternatore, sì! E allora, dopo la terza sosta, tra una pipì, un pieno di metano alla Multipla, una pizza di maccheroni e un rustico di salsicce e friarielli, come se si fosse in gita scolastica e non a combatter una guerra, in prossimità di Arezzo il furgone decide di non proseguire oltre. E’ stato doloroso guardare la lenta agonia e il triste abbandono della strada da parte di quel colosso rosso che borbottava, forse per i troppi chilometri macinati in meno di una settimana. I sei della Multipla si agitano, ma soprattutto cercano un modo per fare due cose contemporaneamente: aiutare gli altri nove eroi multiformi, e anche multicolori, e allo stesso tempo arrivare  a Bologna per il fischio d’inizio. Erano le 11. Tra mille soluzioni possibile, compresa il suicidio, e altrettante imprecazioni, si decide: in cinque si cambia mezzo di locomozione subito, come in una manche di “Giochi senza Frontiere”, e si prende il treno delle 11:36 da Arezzo. Nel frattempo, il valoroso autista ne prende altri cinque per portarli alla stazione e salire sul treno successivo. Nel frattempo, arriva il carroattrezzi che, per una cifra irrisoria  rispetto al valore di poter raccontare un giorno tutto ciò ai nipoti e scrivere questo pezzo e pari ad una trasfusione di sangue di tutti e 15 eroi multiformi messi insieme, sposta il furgone in officina con i restanti componenti della spedizione. Nel frattempo, il valoroso autista, assicuratosi la partenza in treno degli altri 10, preleva i restanti 4 e corre veloce verso la meta: lo stadio Dall’Ara di Bologna, ignari, tutti, che le bestemmie dette fino ad allora sarebbero state solo un decimo di quelle imprecate a fine partita.

Il vero miracolo è stato ritrovarsi tutti, più o meno, allo stesso orario allo stadio. Almeno la manche di “Giochi senza Frontiere” è stata vinta! E siamo comunque arrivati quasi tutti in tempo per assistere al guinness dei primati di deficienza del tifoso medio italiano. Dagli altoparlanti risuona Caruso di Lucio Dalla, in ricordo dell’artista e come omaggio agli ospiti, dal settore partenopeo partono applausi, cori in favore e si canta come se fossimo intonati per davvero, mentre dalla curva opposta, quella bolognese, quella di appartenenza del cantante ricordato, quella a cui appartiene il presidente onorario che ha avuto l’idea di questa iniziativa per distendere gli animi, parte il solito coro simpatico che inneggia ad una lavata di faccia da parte del Vesuvio. Qualcun altro deve, evidentemente, lavarsi la coscienza. Forse, la pioggia caduta dal cielo domenica e che ancora continua a cadere in quelle zone, cerca invano di farlo. Fatto sta che, se per loro è un piacere se il Vesuvio fa il suo dovere, come scritto su uno striscione,  per noi è un piacere vederlo tutti i giorni che se la ride, formando, nel mare davanti a lui, un  golfo da brividi ed emozioni senza fine. Persino la Torre degli Asinelli sta chiedendo asilo politico sotto il Vesuvio, cambiando il nome in Torre dei Ciucciarielli, chiaramente.

La partita è stata un crescendo di ansia, imprecazioni, pioggia. E abbiamo preso la consapevolezza che Inler ha la testa a triangolo, Pandev è caduto di nuovo in letargo, Insigne ha cacciato di nuovo il peggio di me, Higuain è nu mostr’, Bianchi l’ennesimo zombie resuscitato dalla nostra mitica difesa.

So che avete rimosso la partita, non volete sentir parlare di goal a tre minuti dalla fine, in  vantaggio e in superiorità numerica, e che vi state solo chiedendo come siamo tornati a casa. Eroi dalle mille risorse: qualcuno in treno, qualcuno in autobus, qualcun altro con un passaggio rimediato al momento da amici compaesani e infine la multipla con altri sei. E con altre dieci tappe: alcune obbligate, altre inutili, altre per sfiga, altre, ancora, per devozione. 

Ancora una volta, il miracolo è stato tornare tutti a casa, sani e salvi. Compreso Inler.

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