I tifosi del Napoli sono pronti a riabbracciare Marek Hamsik

Dov’eravamo rimasti? Il tempo è un galantuomo e lenisce pure l’algodistrofia; ma ora che il gioco si sta facendo duro, il talento puro deve rimettersi a giocare. La «fatata» Verona è l’epicentro dei pensieri più svariati, un cocktail d’emozioni che cattura gli sguardi estasiati d’innamorati perduti: e il calcio degli esteti si riprende Hamsik, lo osserva e lo coccola, in quel fascio di terra che va dalla panchina al campo.

IL TENORE. La domenica (un po’ speciale) è vibrazione allo stato puro, è adrenalina, un turbamento adolescenziale che spazza vai le remore d’un bimestre (circa) consumato ad interrogarsi intorno a quella caviglia sinistra presa a randellate dalla malasorte: sette minuti, un battito di ciglia esistenziale, per accorgersi ch’era stata un’imprudenza presentarsi al Parma, per intuire che la sorte aveva scelto di modificare il proprio percorso e (stavolta) di sistemarsi di traverso. Fuori Hamsik, dentro i fantasmi, il terrore, il sospetto d’essere al cospetto d’una congiura degli dei che scippano un tenore e lo sbattono nel cono d’ombra dell’infermeria: 23 novembre 2013, eppure se n’è andata l’eternità, trascinando con sé pure la Champions, le notti (d’atmosfere) magiche di Dortmund e con l’Arsenal, e quell’abbondanza irrinunciabile di materia grigia. Ma il peggio è alle spalle, nel tunnel nel quale è ricomparso un filo di luce con la convocazione per Verona, in quella dimensione euforica offerta agli amici più cari ( «sto bene e sono felice di poter rientrare» ) però palpabile e comunque percepibile ad occhi nudo negli allenamenti consumati in scioltezza, giocando da mediano (perché può servire, eccome) o da trequartista (perché val la pena riprendere confidenza con se stesso, con il proprio io).

MENO SETTE. E’ stato faticoso, certo: sette partite vissute marginalmente, con il dolore a togliere un po’ il sonno e la voglia matta d’essere Hamsik che implode in tribuna, in divano, in quella uniforme da inabile che stringe come una camicia di forza. Dov’è finito, s’è chiesta la Napoli orfana di quel genietto che cento ne fa e altrettante ne pensa? Il Parma e poi l’oblio, la rinuncia al Borussia ma anche alla Lazio, all’Udinese e poi anche all’Arsenal, all’Inter e a seguire al Cagliari, alla Sampdoria, con il calendario in mano per un count down senza fine: ma l’alba del cinquantesimo giorno è quella giusta e Verona-Napoli si presenta ancor più densa di connotazioni, perché la star non può star più a guardare.

DOUBLE FACE. Il passato (da non fa tornare) è in quel bimestre (scarso) che ormai rimane inchiodato negli archivi, nella palude del nulla e magari nei rimpianti per ciò che non è stato: ma c’è Verona-Napoli e stavolta si può anche cerchiare d’azzurro il 12 gennaio, perché in quel «Bentegodi» da dimenticare per colpa d’un rosso (contro il Chievo), Marekiaro scruta nuovi orizzonti, avverte dentro di sé antichi bollori ma si offre a Benitez per fronteggiare (eventualmente) l’emergenza apertasi cin l’infortunio di Behrami; per inventarsi una vita da mediano – qualora serva – o anche per riafferrare la propria identità di trequartista; per disegnare – nelle difficoltà attuali – nuove linee di passaggio oppure per tracciare quelle vecchie, da sognatore, dal goleador espressosi con sei gol in tredici giornate e da rabdomante, che conducono tra le stelle. Si scrive Hamsik e ci si ritrova in un’altra storia.

FONTE Corriere dello Sport

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