Rafael Cabral, grinta ed umiltà per la riconferma tra i pali azzurri

Zero. Il numero del niente che è però tanta roba. Per un portiere soprattutto. Zero gol presi. Non accadeva da quarantacinque giorni. L’ultima volta, Napoli-Torino. Poi qualcosa s’era inceppato. Anzi, squilibrato. L’assetto, l’atteggiamento, il modo di stare in campo. Quindici gol presi in sette partite, più di due di media ogni novanta minuti. Tanti, troppi, mai nessuno ha vinto subendo così. E allora benedetto zero. La cifra che è la pagella migliore. L’ha avuta Rafael Cabral Barbosa. C’era lui contro l’Arsenal. Titolare per la seconda volta di fila. Lui in campo. E bene.

BALLOTTAGGIO. S’è meritato anche i complimenti di De Laurentiis. Pepe Reina ancora fuori. Per quel flessore che continua a dargli noie e lo tiene in ansia anche per l’Inter. Ieri si è allenato. Oggi forza, spinge, (ri)prova. E’ ballottaggio insomma. Reina vuole tornare, “Rafaeu” continuare. Non c’è due senza tre dicono i proverbi… Udinese, la Champions e chissà se pure l’Inter, la squadra che più di tutte, con la Roma, aveva pensato a lui. L’idea è dell’estate scorsa. Handanovic lusingato dal Barcellona, Rafael una possibilità. E invece spuntò il Napoli. Deciso, convinto: cinque milioni di euro e cinque anni di contratto. Benitez voleva un secondo che fosse in fondo un primo. Giovane, talentuoso, di prospettiva e pure già con l’esperienza nei guantoni. Rafael Cabral Barbosa il profilo giusto, “o goleiro” con quel nome troncato sulle maglie sin da piccolo sui campetti del barrio Jardim Sao Paulo, dove ha dovuto parare anche i dolori della vita. Mamma Mara lo lasciò presto. Troppo presto per vederlo svolazzare tra i pali. Tutti i compagni si davano al “futebol bailado”, lui stava in porta.

LA STORIA. Cominciò col Futsal, il calcio a 5. Dopo scoprì la porta grande, da calcio, si mise di traverso agli amici e parò tutto. Lo prese il San Paolo, si è affermato col Santos, allenandosi parando i rigori a Neymar con uno stile tutto suo. Lascia un angolo scoperto, si muove in orizzontale, si tuffa e para. Quante ore insieme, e che scommesse. Era un super Santos: Rafael, Neymar, Ganso. Vinse la Liberatores nel 2011: il più giovane portiere sudamericano ad alzare la Coppa.  Il “mondiale” Marcos il suo idolo, Taffarel il mito che l’ha visto debuttare dalla panchina del Galatasaray a Fuorigrotta. In amichevole. E’ però Julio Cesar il riferimento. Pure lui sbarcò in Europa giovane. E quei mesi al Chievo dietro Marchegiani furono fondamentali. Rafael ha davanti Pepe Reina. Forte, fortissimo però con quel contratto che è una minaccia. E’ in prestito secco, dal Liverpool e c’è il Barcellona che lo tenta. Reina primo, Rafael quasi primo. Secondo di livello. Stasera però chissà: dubbio. Scuola brasiliana, preparatore spagnolo (Xavi Valero), campionato italiano. Tre culture diverse per affinare il senso della posizione, per far propri tempi e spazi, e diventare un numero 1 davvero. Al di là della maglia. L’età, un patrimonio. Il talento naturale, la forza. La voglia di migliorarsi, quel qualcosa in più.

Rafael studente modello, in ogni senso. Studia scienze motorie e legge testi sacri: è un atleta di Cristo. La fede l’ha aiutato quando s’è rotto la tibia in uno scontro di gioco con un compagno. Il calcio è così, tutto in un attimo. Come quella telefonata di Benitez che lo convinse ad accettare l’azzurro. Come quegli istanti di intimità assoluta che trova per pregare coi sessantamila intorno che urlano. Come quel tiro di Bruno Fernandes dell’Udinese. Una saetta. S’impennò nel cielo e cadde giù maligna. Rafael un passo fuori dai pali, però dentro il progetto Napoli. “A muralha do Santos” sta alzando il muro al San Paolo.

FONTE Corriere dello Sport

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